Nei penitenziari italiani è “concreto e attuale il rischio epidemico“. Per questo motivo “occorre dunque incentivare la decisione di misure alternative” per “alleggerire la pressione”. Lo scrive il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, in una nota che “faccia da base di lavoro comune“, inviata a tutti i Procuratori generali delle Corti d’appello.

Il dibattito sulla situazione carceraria al tempo del coronavirus si è riaperto ieri, dopo la morte del primo detenuto risultato positivo al Covid-19. Quello deceduto a Bologna – 77 anni, in carcere con accuse di mafia e con altre patologie pregresse – era uno dei due detenuti positivi ricoverati in strutture ospedaliere. In totale – secondo i dati diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – sono 21, 17 dei quali sono in isolamento in camere singole all’interno delle stesse prigioni. Molto più numerosi i positivi tra gli agenti di polizia penitenziaria: sono 116, con due vittime, su quasi 38mila guardie carcerarie in totale.

“Mai come in questo periodo va ricordato che nel nostro sistema il carcere costituisce l’extrema ratio” e deve rimanerci solo chi è pericoloso o ha commesso reati da ‘codice rosso”, scrive il pg della Cassazione nella nota ai procuratori generali. Ad avviso di Salvi, “occorre dunque incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione dalle presenze non necessarie in carcere: ciò limitatamente ai delitti che fuoriescono dal perimetro predittivo di pericolosità e con l’ulteriore necessaria eccezione legata ai reati da ‘codice rosso”.

Il rischio del contagio da Coronavirus, aggiunge Salvi, “non lascia tempo per sviluppare accertamenti personalizzati, e può in molti casi rappresentare l’oggettivizzazione della situazione di inapplicabilità della custodia in carcere a tutela della salute pubblica, in base ai medesimi criteri dettati per la popolazione al fine di contrastare la diffusione del virus”.

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