“In questo momento non abbiamo problemi, dobbiamo fare in modo che la situazione non cambi”. A pochi giorni dal decreto del Governo Conte, e dal successivo protocollo per la sicurezza dei lavoratori, il pensiero degli approvvigionamenti e della disponibilità dei beni di prima necessità (vale a dire gli scaffali pieni nei supermercati) è uno dei più ricorrenti nel dibattito pubblico, anche a seguito degli episodi di panico e delle razzie in varie città nelle scorse settimane. L’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus si accompagna inevitabilmente con la richiesta di stare tutti a casa per evitare il contagio: ma alcuni settori non possono e non devono fermarsi. E quindi garantire produttività e sicurezza dei lavoratori, evitando che scatti il panico nei consumatori e negli addetti e operai delle fabbriche. A descrivere questa sfida è il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio. Il rallentamento della produzione è un dato oggettivo “a seguito dell’applicazione doverosa da parte degli industriali dell’accordo tra Confindustria e sindacati, per tutelare la salute dei lavoratori” spiega a ilfattoquotidiano.it.

RIMEDI ALLA PRODUZIONE RALLENTATA “Il problema della produzione oraria che diminuisce – aggiunge – è stato già risolto, perché le aziende stanno lavorando in qualche caso anche 24 ore su 24”. Insomma, gli orari sono stati allungati riducendo il personale in servizio contemporaneamente, in modo da mantenere le distanze indicate. “Per questo – continua il presidente di Federalimentare – mi sento in dovere di ringraziare le maestranze, che fanno dei turni anche impegnativi”. Ciò che invece potrebbe rappresentare un problema, ed è venuto fuori nelle ultime ore, è una eventuale drastica riduzione dei lavoratori nelle fabbriche. “Voglio essere chiaro – premette Vacondio – e dire che le misure contenute nel nuovo decreto legge sono il frutto di scelte comprensibili e politiche condivisibili, perché ritengo che al primo posto ci sia la salvaguardia dei lavoratori. Si tratta, però, di trovare un equilibrio tra l’esigenza della sicurezza e quella della produzione, intesa come necessità di garantire le derrate alimentari e in generale dei beni di prima necessità”.

TUTELA DALLA COMMISSIONE EUROPEA – A dare maggiore serenità sono di certo le linee guida della Commissione europea, che ha salvato 44,6 miliardi di esportazioni made in Italy bloccate alle frontiere, a causa dei limiti posti da un numero crescente di Paesi europei. “Le merci possono circolare e chi non applicherà questa norma sarà sanzionato” spiega Vacondio, sottolineando che l’Ue ha disposto che “non si può spezzare la catena alimentare all’interno dell’Europa”.

GLI ASSALTI AI SUPERMERCATI L’altra conseguenza del panico, riguarda l’assalto ai supermercati. Non c’è dubbio che l’emergenza Coronavirus abbia cambiato le abitudini degli italiani rispetto alla spesa. L’ufficio studi di Confagricoltura ha evidenziato che i cibi maggiormente acquistati (fonte Nielsen) rispetto allo scorso anno sono quelli a lunga scadenza facilmente conservabili, come riso (+33%), pasta (25%), scatolame (+29%), derivati del pomodoro (+22%), sughi e salse (+19%). Complessivamente i consumatori hanno effettuato acquisti di alimenti a lunga conservazione, a discapito dei prodotti freschi facilmente deperibili. Tanto che le industrie conserviere hanno dovuto modificare il proprio programma di consegne della merce, aumentando del 30% le vendite nel mese di febbraio e del 100% nel mese di marzo. Secondo Confindustria le scorte alimentari acquistate in questo periodo saranno consumate nei prossimi mesi, portando gli indici degli acquisti a diminuire tendenzialmente nei mesi di aprile e maggio 2020, rispetto agli stessi mesi del 2019. Anche Vacondio è convinto che non ci saranno più le code del weekend di dieci giorni fa “a cui comunque abbiamo fatto fronte con un rifornimento tra lunedì e martedì”. E aggiunge: “Le scorte non mi preoccupano, a maggior ragione dopo quanto disposto dalla Commissione europea”.

DISTRIBUZIONE Pensiero condiviso anche da Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzione. “Dal punto di vista organizzativo – spiega a ilfattoquotidiano.it – dopo lo sconquasso dei primi giorni per il susseguirsi di norme che hanno costretto il settore ad adeguamenti rapidi e per le norme di sicurezza a tutela della salute di tutti che rallentano le normali attività sui punti vendita, il sistema regge anche grazie all’impegno dei nostri collaboratori”. Lo spostamento dei consumi, dovuto anche al blocco della ristorazione “crea tensioni opposte, con comparti che registrano eccedenze e altri con flessioni”. E poi c’è l’agricoltura che ha perso di colpo più di 300mila persone che operavano nel settore, prevalentemente straniere e questo crea difficoltà per le attività in prospettiva. “Non significa che quest’estate non potremo mangiare pesche – aggiunge Gradara – ma probabilmente non sarà un’annata eccezionale e dobbiamo vigilare affinché non si verifichino fenomeni speculativi sia al ribasso che al rialzo”.

IL FRONTE LOGISTICO Sul fronte logistico Federdistribuzione non registra tensioni particolari, mentre “si va normalizzando anche la situazione dovuta ai problemi dei giorni scorsi nei trasporti alle frontiere”. Quello che chiede ora Federdistribuzione è “la rimozione dei limiti di circolazione dei mezzi pesanti, almeno per le derrate alimentari”. Sul fronte dei trasporti il ministro per le Autonomie Francesco Boccia ha difeso la pur contestata scelta di lasciare aperti gli autogrill per i camionisti: “Se fanno mille chilometri e dormono in cuccetta devono poter avere servizi igienici, un panino”.

IL NODO DEI PORTI A destare qualche preoccupazione è stato anche qualche allarme lanciato sui porti. “Se non si garantisce una vera semplificazione della filiera logistica, il rischio è che lacciuoli burocratici e amministrativi impediscano alle merci di arrivare per tempo dove devono essere distribuite e che gli scaffali dei supermercati restino vuoti” ha dichiarato Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, associazione degli spedizionieri genovesi. Ma cosa sta accadendo? La merce arriva e parte da tutti i porti italiani, solo che i terminal funzionano a ritmo rallentato per seguire le corrette misure di sicurezza, dal rispetto delle distanze alle sanificazioni. Questo comporta ritardi anche per i trasporti terrestri. Per Botta “dopo il Dpcm economico ci vorrebbe un Dpcm semplificazione, con un taglio netto alla burocrazia nella logistica” eliminando, ad esempio “la documentazione cartacea di scorta alle merci e sostituendola con quella digitale”. E da Confetra arriva la conferma che c’è qualche nodo da sciogliere. “Stiamo monitorando la situazione di Genova – spiega a ilfattoquotidiano.it Guido Nicolini, presidente della Confederazione della logistica e dei trasporti – La riduzione dell’attività portuale sta provocando uno spostamento di armatori da un terminal a un altro o da un porto a un altro – aggiunge – creando problemi alla logistica che deve rincorrere questi cambiamenti. Una situazione che va gestita e non è facile, perché la logistica ha delle sue tempistiche. Non si può improvvisare”.

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