Erano le 13.55 di ieri quando le chat delle classi hanno iniziato a bollire. Temperature da capogiro che neanche fossero state colte dalla peggio influenza virale del momento. Le agenzie battevano per la prima volta la chiusura delle scuole per il Coronavirus: non si sapeva a partire da quando, ma sarebbero rimaste chiuse per ben 15 giorni.

La notizia ha creato tutto il panico che lo stesso Covid19 non era riuscito a fare, panico avvalorato dal fatto che ben tre minuti dopo le stesse agenzie ne battevano un’altra che smentiva la precedente: niente è stato ancora deciso. Il panico è andato via via aumentando perché se la gestione dello stato di crisi è tenuta in piedi da un governo che smentisce se stesso, figuriamoci come gestisce la crisi. Conte che annunciava e la ministra Azzolina che smentiva.

In quei tre minuti è successo di tutto: i nonni sono passati dal panico alla gioia e le babysitter dall’euforia alla delusione. Perché si sa che in Italia la vera gestione delle emergenze è affidata agli over 65 (se sei fortunato) o alle babysitter se non sai che pesci prendere. In quei tre minuti i genitori sono stati in grado di creare castelli per poi rifrantumarli: hanno messo in piedi tende da campo emozionali, hanno pianificato la loro battaglia navale (F12 affondato, cambiamo strada) e hanno gestito la crisi neanche fossero la protezione civile.

C’è chi ha persino chiamato le maestre per farsi dare, all’uscita, i libri necessari per studiare da casa. E così, mentre al suonare della campanella nessuno sapeva ancora cosa sarebbe accaduto l’indomani, gli alunni hanno sceso le scale delle scuole col carico di libri per l’emergenza, carico finito diretto sulle spalle dei genitori (metaforicamente e non).

Il balletto a cui abbiamo assistito ieri, fatto di dichiarazioni e smentite e conclusosi alle 18.15 con l’annuncio prevedibile della sospensione delle attività didattiche per 15 giorni, è stato surreale: non per la decisione presa ma per le modalità nel comunicarla e gestirla.

Ancora una volta, dunque, lo sforzo richiesto alle famiglie non ha tenuto conto delle famiglie stesse e di quanto sia irrispettoso farle bollire in un limbo. Ancora una volta è mancata la pianificazione e la gestione, che sono le parole chiave. Perché se è giusto fare di tutto per contenere il diffondersi del virus, se è giusto che dobbiamo starcene fermi per evitare (se non altro) il collasso di un sistema sanitario spremuto e sotto pressione, allora la responsabilità deve essere di tutti e arrivare alle 18.15 del giorno prima nel comunicare che resteranno a casa 8 milioni di studenti forse si poteva gestire meglio.

Lo si doveva fare perché lo smartworking è incompatibile con l’homeschooling, perché non è possibile contenere un esercito di bambini in vacanza mentre si sta al computer, si fa una conferenza via skype o (meglio mi sento) si va a lavoro, perché oggi (e dico oggi) sono al vaglio delle misure per garantire almeno la presenza di un genitore a casa: misure che decideranno forse un minuto prima della riapertura delle scuole? Saranno per le pubbliche amministrazioni o anche per i privati? Per i contrattualizzati o anche per le partite Iva?

Insomma, il classico italiano che si ripete, quello di metterci la pezza dopo aver creato lo strappo, fa acqua da tutte le parti: il virus va contenuto, i virologi hanno ragione e contenerlo significa anche contenere le sue conseguenze sulla vita di tutti a 360 gradi. Avere pronto un piano sarebbe stato meglio, visto che di Coronavirus si parla da mesi. Ci svegliamo solo adesso?

Questo brutto, bruttissimo capitolo sul Coronavirus ci insegna due cose: in Italia potremmo fare volentieri a meno di tutti, tranne che dei medici e dei nonni.

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