È una lunga tradizione, quella dei ricatti della Turchia. Nei 17 anni passati tra presidenza e governo, Recep Tayyip Erdoğan è sempre passato dalle maniere forti quando deve negoziare, soprattutto quando seduti dall’altra parte del tavolo ci sono i suoi “alleati” dell’Unione europea. Questa strategia però rischia di portarlo all’isolamento, in una fase particolarmente delicata per i suoi piani di espansione in Siria.

La principale arma ricattatoria del presidente turco è l’accordo per la riammissione dei migranti siglato con la Commissione europea nel 2016. Il negoziato sembra essere archiviato, nonostante da mesi cerchi un possibile rilancio. Il problema principale, secondo Ankara, è che Bruxelles non ha corrisposto alla Turchia quanto pattuito. Quando è stato raggiunto l’accordo, l’Unione europea aveva paura dell’ingresso dei migranti siriani dalla rotta balcanica, situazione che faceva crescere la popolarità delle destre estreme europee. Così ha offerto sul piatto 3 miliardi di euro (a cui se ne sono aggiunti altrettanti) per tenere all’interno dei confini turchi circa 4 milioni di profughi siriani.

Ong come Amnesty International hanno denunciato che fin dall’inizio migliaia di persone siano state comunque rispedite in Siria, in piena violazione del principio di non-respingimento. Tali procedure da sole renderebbero la Turchia un Paese non sicuro, quindi con il quale non è possibile siglare accordi che prevedono il rimpatrio. Eppure il sistema è stato in piedi fino ad ora, a fatica, garantendo un deciso contenimento dei flussi verso la Grecia: gli arrivi sulle isole negli ultimi anni si erano ridotti quasi allo zero. Dal 29 febbraio sono ricominciati, non senza l’aiuto della Turchia.

Mentre di fronte ai deputati del suo partito, l’AkParti, Erdogan ha dichiarato che il Paese “non può far fronte” a una nuova ondata di profughi, paventando un rischio esodo, in contemporanea “ufficiali [turchi] hanno aiutato a caricare più di 600 migranti in almeno 12 autobus da mandare al confine turco-greco”, riporta il New York Times. La stima complessiva è che almeno 3mila persone siano state aiutate a raggiungere i confini (soprattutto quello di terra, il fiume Evros), per rendere la minaccia più credibile.

Erdogan ha bisogno del sostegno dell’Unione europea per vincere la battaglia finale ingaggiata contro il regime di Damasco in Siria. Primo teatro di scontro è Idlib, dove la Turchia ha ottenuto una zona-cuscinetto, nel nord-est a maggioranza curda, che Bashar al-Assad vuole riprendersi. Sotto le bombe siriane e turche, ci sono i civili che abitano la zona. Gli sfollati di Idlib sono stimati tra i 500mila e il milione, in un area che, secondo il responsabile delle Nazioni Unite per le emergenze umanitarie, Mark Lowcock, “sta per diventare il più grande cumulo di macerie del mondo, disseminata di cadaveri di un milione di bambini”.

In questo gioco tra potenze, gli attori sono tre: Erdogan e Assad sui lati opposti, in mezzo Vladimir Putin, storico alleato del leader alawita e con il quale anche il presidente turco ha relazioni diplomatiche buone, ma altalenanti. È proprio per concessione della Russia che la Turchia ha ottenuto Idlib, ma il frapporsi di Putin tra Erdogan e Assad ha già provocato la rabbia del Sultano di Ankara. “Ho chiesto a Putin di togliersi di mezzo da Idlib. Ho chiesto a Putin: ‘Quali sono i tuoi interessi lì? Se stabilisci una base, fallo ma togliti di mezzo e lasciaci faccia a faccia con il regime'”, ha detto Erdogan in un discorso a Istanbul.

I motivi di contrasto tra Putin ed Erdogan si possono trovare in Libia. Qui Erdogan è diventato il principale alleato del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj, impegnato contro l’avanzata del generale Khalifa Haftar, sostenuto militarmente proprio da Mosca. Un appoggio, quello turco, che non è arrivato senza tornaconto: il governo di Ankara ha ottenuto un accordo per l’esplorazione congiunta Turchia-Libia a largo delle coste di Cipro, in una zona dove interferisce con gli interessi commerciali della Grecia, storica rivale turca. Questa mossa permette al presidente turco di diventare sempre più egemone nel Mediterraneo orientale, ma è ulteriore fonte di contrasti sul piano diplomatico.

Tutti questi fronti aperti nello stesso momento mettono la Turchia in una posizione di isolamento dalla quale cerca di uscire solo rilanciando la posta in gioco. Gli ultimi tentativi possibili sono con Nato e Unione europea, visto che quest’ultima, finora, è stata la più debole nei negoziati.

Erdogan si è rivolto alla Nato, di cui la Turchia fa parte, per convocare un vertice straordinario (subito concesso) allo scopo di ottenere supporto militare contro l’offensiva di Assad. Già a dicembre lo aveva cercato, ancora una volta passando per le minacce: Erdogan voleva far saltare il piano di difesa dalla Russia che la Nato stava organizzando per Polonia e Paesi Baltici, se l’alleanza non si fosse occupata anche della Siria.

In due mesi la crisi siriana si è aggravata ulteriormente. Il prossimo momento decisivo sarà il 5 marzo, quando è previsto un vertice tra Putin ed Erdogan. Il leader turco ha allargato l’invito a Angela Merkel ed Emmanuel Macron. A furia di minacciare, potrebbe finire con il restare solo nelle mani di Putin.

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