L’incontro tra Benetton e i coordinatori del movimento delle sardine ha suscitato grandi polemiche, anche tra le stesse sardine. Commentatori e avversari politici si sono buttati a pesce (è il caso di dirlo) nella denigrazione delle sardine. Mi sembra una questione ridicola e strumentale che fa presa sulla profonda ingenuità politica del pubblico e delle sardine stesse, e che è resa possibile dalla totale incapacità del Pd di elaborare una minima cultura politica di sinistra. Giova ricordare ai dirigenti del Pd che l’elaborazione di una teoria politica coerente era il compito che Gramsci aveva assegnato ai partiti politici.

C’era una volta il comunismo sovietico. In quel regime la fabbriche e i mezzi di produzione erano nazionalizzati e lo stato era il datore di lavoro dei cittadini. I proventi dello Stato, necessari a pagare i servizi e gli stipendi dei lavoratori, venivano dalla produzione anziché dalle tasse. Quel sistema è fallito e comunque il Pci se ne era dissociato già all’epoca della primavera di Praga (1968), molto prima del crollo dell’Urss. La necessaria rielaborazione teorica del comunismo occidentale doveva portare a far coesistere l’imprenditoria privata con una equa redistribuzione delle risorse. L’idea del comunismo rivoluzionario, “ai padroni gliela faremo, faremo pagare”, era finita.

Oggi in Italia lo Stato è il datore di lavoro soltanto del 14% dei lavoratori; gli altri sono dipendenti di imprese private o lavorano in proprio. L’idea comunista (o socialista) traslata nel contesto europeo moderno deve necessariamente tenere conto del fatto che il problema della disoccupazione non può essere risolto assumendo dipendenti statali, ma deve passare attraverso una negoziazione tra sindacati, governo e imprenditori. L’imprenditore non è più il nemico dei lavoratori, ma la loro controparte. Per le stesse ragioni, la redistribuzione delle risorse si basa su una fiscalità fortemente progressiva (in Italia il 5% più ricco dei contribuenti versa il 45% del gettito Irpef), piuttosto che sulla nazionalizzazione dei mezzi di produzione.

Questo implica l’abbandono del concetto di lotta di classe e il riconoscimento che oggi è necessaria una alleanza, anche forzata, tra le diverse fasce sociali della quale lo stato sia il garante. Chi è più abbiente paga il diritto di esserlo con un pesante prelievo fiscale, che lo stato usa per garantire servizi soprattutto ai meno abbienti. Del resto, il concetto stesso di classe sociale era utopistico già ai tempi di Marx, perché prevedeva che il lavoratore, grazie alla coscienza di classe, anteponesse l’interesse della sua classe sociale al proprio.

Poiché una elaborazione della nuova ideologia di sinistra è assente, il campo è aperto alla propaganda denigrativa degli avversari: quelli che sostengono, con Berlusconi, che il Pd “non è cambiato”, mangia i bambini e alleva cavalli e cammelli al solo scopo di poterli abbeverare, dopo la rivoluzione, nelle fontane, se non nelle acquasantiere, di San Pietro; e quelli che sostengono che il Pd “è cambiato”, si nutre di caviale e champagne, veste Prada, abita ai Parioli e ha abbandonato i lavoratori per allearsi con l’odiato padrone. E’ sorprendente che due argomenti di propaganda, entrambi grossolani e tra loro contraddittori, trovino spesso una saldatura che finisce per favorire l’ideologia della destra più reazionaria.

Le stesse sardine cadono in questa trappola e si lacerano in un conflitto ideologico interno sul fatto che la visita a Benetton sia stata opportuna o inopportuna; se Benetton sia un amico o un nemico, piuttosto che un membro di una fascia sociale altrettanto necessaria di ogni altra al funzionamento dello Stato. Questo conflitto è fuori luogo. Certamente non compete alle sardine giudicare di eventuali illeciti nella gestione delle autostrade, e in una moderna ideologia di sinistra l’incontro tra rappresentanti di fasce sociali diverse appartiene ad una dialettica collaborativa piuttosto che ad una guerra sociale senza quartiere.

Agli industriali come Benetton uno Stato di sinistra chiede soltanto che paghino le tasse e rispettino la legge e gli impegni presi, perché per qualunque sinistra moderna la redistribuzione delle risorse passa attraverso la progressività del prelievo fiscale e non attraverso la rieducazione del padrone in Siberia. La destra è quella che chiede la flat tax.

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