V come vendetta, Www come strumento di offesa, ritorsione e magari estorsione. Il web si prospetta ogni giorno in posizione antitetica al sogno di Tim Berners Lee, che – suo creatore – ne aveva immaginato un ben differente utilizzo rispetto quello che ogni giorno abbiamo modo di assaporare.

Lo strumento di condivisione di conoscenze, se è diventato una cornucopia di fake news che avvelena l’atmosfera, nel tempo ha consolidato anche il suo ruolo di potente balestra digitale per il micidiale cecchinaggio degli avversari o semplicemente di malcapitati da trafiggere con dardi avvelenati.

Ne sanno qualcosa le realtà imprenditoriali nel settore della ristorazione, categoria che svetta per la pluviale produzione di commenti e giudizi al curaro che si ammonticchiano sulle pagine dei portali consultati da chi cerca un posto dove mangiare un boccone o fare una cena romantica. Molti clienti, magari per il solo motivo di non aver ottenuto uno sconto o per altre futili ragioni, non esitano a vomitare sul web informazioni non veritiere per – a loro dire – farsi giustizia. Le dichiarazioni rilasciate sui siti che classificano ristoranti e trattorie spesso sono lo sfogo esagitato di qualche avventore che affida al turpiloquio o a descrizioni horror il proprio giudizio sull’esercizio pubblico visitato.

Animati dall’inesorabile “adesso ti faccio vedere io”, parecchi cybernauti interpretano la possibilità di rilasciare opinioni o valutazioni come una sorta di rito purificatore per colpe che i destinatari dell’aggressione virtuale magari sono ben lontani dall’avere. E chiunque può diventare bersaglio…

Recentemente un caso destinato a “fare scuola” riguarda un noto ortopedico italiano, reo di essere incappato in un paziente… impaziente. Il tizio, sottoposto a un delicato intervento protesico bilaterale al ginocchio, non rispetta alcuna indicazione vincolante sul decorso post-operatorio, a distanza di tempo lamenta una infezione facilmente riconducibile all’aver disatteso le raccomandazioni cliniche e ingaggia una furente corrispondenza con l’ortopedico.

Quest’ultimo – offrendo inutilmente la più assoluta disponibilità a verificare l’accaduto e a individuare il percorso medico e chirurgico maggiormente efficace per risolvere ogni eventuale problema insorto – riceve una serie di minacce in taglienti messaggi di posta elettronica. Il “refrain” della corrispondenza via mail è la possibilità (ma soprattutto l’intenzione) di rovinare la reputazione dell’ortopedico con una feroce campagna online, così da trovare conforto a fronte di un presunto danno.

Il tizio sottolinea che le sue cospicue risorse patrimoniali gli permettono un volume di fuoco incomparabile e comincia a darne ampia dimostrazione registrando un sito il cui nome a dominio riporta i riferimenti anagrafici dello specialista e comprando da Google il posizionamento dei relativi contenuti in vetta ai risultati di eventuali ricerche relative al professor Stefano Zanasi. Il sito fraudolento riporta l’invito a diffidare della “autorità … in cerca di miracoli” e a condividere esperienze negative con la garanzia di restare nell’anonimato.

La sassata tirata a Zanasi, amplificata dal motore di ricerca più utilizzato al mondo, sfrutta la cronica lentezza della macchina investigativa e giudiziaria che – non bastasse – deve fare i conti con la transnazionalità dei fatti. Il sito è stato registrato all’estero, soggiace alle regole dell’ordinamento giuridico corrispondente e naturalmente è inaccessibile l’identità di chi ne è titolare. Chi attacca sa perfettamente che il sito “resterà in piedi” a lungo e che ogni giorno di permanenza online in più reca danni irreparabili al bersaglio.

L’eventuale oscuramento di quelle pagine (attraverso l’attivazione dei provider per l’inserimento in black list del relativo indirizzo) avrebbe effetto nazionale o al limite comunitario e – in ogni caso – in un attimo innescherebbe la migrazione del “cecchino” su altro sito e poi, se necessario, su un altro ancora. Lo stesso Garante per la privacy si trova con una “pallottola spuntata” perché il Gdpr (ovvero il regolamento europeo a tutela dei dati personali) ha efficacia negli spazi continentali e “non funziona” oltreoceano.

Quanti altri come Zanasi sono vittime di simili ignobili lapidazioni? Quanto tempo dovremo ancora aspettare per bloccare condotte reprensibili su Internet senza che subito qualcuno gridi più o meno legittimamente alla censura o alla mortificazione del diritto di critica? Purtroppo è la politica la prima a servirsi della Rete per disseminare il contesto sociale di venefiche esalazioni che ne rendono l’aria irrespirabile. Difficile sperare in provvedimenti legislativi che mutilerebbero anche chi urla, strepita, insulta e diffonde false notizie nella incessante bagarre elettorale.

Forse impossibile immaginare Convenzioni internazionali che stabiliscano cosa si può e non si può fare, facilitando – a dispetto dei confini geografici – le procedure di intervento delle magistrature e dei Garanti, accelerando il ripristino di quella “normalità” e di quella correttezza nei comportamenti che chiunque auspica. Da qualche parte, però, occorre iniziare. Serve il punto di appoggio che Archimede invocava per sollevare il mondo? Non basta certo la buona volontà dei singoli ingranaggi del gigantesco motore del vivere quotidiano, ma – in attesa di una fatale intuizione – lo sforzo di ciascuno di noi a capire e ad agire può essere un ottimo avvio.

@Umberto_Rapetto

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