Due vicende hanno caratterizzato il mondo delle telecomunicazioni nell’ultimo anno. La prima riguarda la competizione sulle tariffe. Le tariffe medie della telefonia mobile nel corso del 2018 (i dati sono tratti da una ricerca di Mediobanca) sono scese del 20%, misura ben superiore rispetto agli altri paesi europei.

È stata la società francese Iliad, arrivata in Italia a metà 2018, a esacerbare la pressione competitiva puntando su una campagna di marketing particolarmente aggressiva. In pochi mesi Iliad ha conquistato il 3% di quota di mercato, ed è probabile che la crescita continui.

Inizialmente i tre maggiori operatori (Tim o Telecom, Vodafone, Wind) hanno ridotto anch’essi i prezzi, utilizzando marchi low cost. Questa generalizzata riduzione delle tariffe ha determinato una contrazione complessiva dei ricavi, -4% rispetto all’anno precedente, al punto che dopo alcuni anni i ricavi della telefonia fissa hanno di nuovo superato quelli del mobile. Negli ultimi mesi c’è stata un’inversione delle scelte dei tre operatori leader: le tariffe sono ricominciate a salire, spesso mascherate dai cosiddetti “costi nascosti” (la ‘rete sicura’, le ‘ricariche menomate’).

Se per i consumatori la riduzione dei prezzi è sempre ben accolta, va sottolineato che ciò non sempre porta benefici al sistema. Le aziende sono costrette a contenere i costi, limitando gli investimenti, che nel medio periodo sono ‘pagati’ dai consumatori con cali di efficienza del servizio, e soprattutto riducendo il personale (il personale di Telecom, per esempio, è diminuito dal 2010 del 31%).

Consideriamo la seconda vicenda, quella che riguarda le prossime innovazioni tecnologiche e le scelte dei player per meglio posizionarsi nel nuovo scenario. Il prossimo futuro è il 5G e l’infrastruttura sulla quale sarà veicolato la rete (via etere e via cavo). Il mercato delle telecomunicazioni è saturo e l’offerta dei pacchetti media, fatta da diversi operatori, sembra tesa a fidelizzare i clienti più che essere un business aggiuntivo.

Il nuovo business sarà il 5G, di cui peraltro sappiamo ancora poco. Non si tratterà solo della maggiore velocità di connessione. Vi saranno innumerevoli nuovi servizi, fonte per le Telco di ricavi aggiuntivi. Proprio in previsione di questo nuovo fronte, le strategie sono puntate sulle infrastrutture della rete, in particolare della rete via cavo (si segnala che Tim e Vodafone hanno trovato un accordo per sostenere lo sviluppo del mobile 5G, mettendo in comune i propri trasmettitori).

Da diversi anni si parla dello scorporo della rete dell’ex monopolista (114 milioni di km in rame, 16 milioni in fibra ottica) e della creazione di una nuova società nella quale entrerebbe l’altro operatore pubblico (seppure wholesale only), Open Fiber (Cassa Depositi e Prestiti ed Enel). La soluzione di un operatore unico della rete sarebbe la soluzione ottimale, la più razionale, per ottimizzare i costi e dare maggiori garanzie a tutti gli operatori di avere le stesse possibilità e condizioni di accesso, cosa che alcuni dubitano possa avvenire ove si realizzasse un’integrazione verticale di un unico operatore, com’è adesso nel caso Telecom.

Il problema è che non si trova l’accordo sull’entità del valore da assegnare alla rete di Tim e di riflesso sulla governance. Al riguardo si segnala che spesso ci si dimentica che Telecom, la quale realizza buone performance, è un’impresa privata alla quale non si può chiedere di sobbarcarsi gli oneri “fuori mercato” come la copertura delle zone “a fallimento di mercato”.

Intanto la copertura della fibra fino a dentro le case (Ftth) ha raggiunto già il 24% delle abitazioni. Se il progetto di un soggetto unico della rete non dovesse realizzarsi per i continui veti posti dai vari protagonisti, c’è il rischio che si arrivi a più reti, con un dispendio di risorse anche pubbliche. In tal caso si chiederà conto della validità delle scelte pubbliche.

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