Il nuovo anno inizia, per volere dei pontefici – a partire da san Paolo VI – , con la “Giornata mondiale della pace”, di cui celebriamo nel 2020 la 53esima ricorrenza. Il mio pensiero va naturalmente ai cinque militari italiani feriti a novembre in un attentato in Iraq rivendicato dall’Isis. Almeno tre erano gravi e a uno di loro è stata amputata una gamba. Adesso mi chiedo quali conseguenze fisiche e psicologiche abbiano subito quei ragazzi e quali danni patiranno per sempre. Mi domando poi in che modo lo Stato li aiuterà, anche sul piano economico. Penso alle loro famiglie e alle difficoltà che dovranno affrontare.

Quel tragico evento avrebbe potuto stimolare un serio dibattito pubblico sul tema della sostenibilità costituzionale delle cosiddette “missioni di pace”. Luca Marco Comellini, segretario generale del “sindacato dei militari”, non ha dubbi: bisogna chiamarle con il loro vero nome, cioè “missioni di guerra”. In democrazia la scelta delle parole è fondamentale. Chiamandole col loro nome, magari ci accorgeremmo che “il ripudio della guerra” (art. 11 della Costituzione.), come ha scritto Michele Ainis, “ce lo siamo messo allegramente sotto i tacchi”.

Un serio dibattito sulla guerra ci farebbe percepire meglio l’orrore dei conflitti bellici che, condotti con sempre più sofisticate apparecchiature tecnologiche, hanno ormai perso ogni traccia di umanità. La guerra moderna è distruzione senza limiti, senza distinzione tra civili e militari, fra città inermi e postazioni armate, fra ospedali e caserme, fra scuole e basi militari. Tanto lontana dal polemos dei Greci, che si svolgeva invece con combattimenti tra eserciti assoggettati a regole inderogabili. Sull’argomento, va letta l’illuminante prefazione di Umberto Curi al volume La guerra nella Grecia antica di Jean-Pierre Vernant (Raffaello Cortina editore, 2018).

Oggi abbiamo il dovere etico di ricordare – con Omero – che polemos kakos, che la guerra è un male, specialmente se ci riconosciamo nei valori cristiani. Nel messaggio del Papa per la“Giornata mondiale della pace” di quest’anno, leggiamo che “ogni guerra si rivela un fratricidio” e che “il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore umano”. Certamente questo bisogno si scontra con gli interessi economici di chi dalle guerre trae enormi profitti. Ma noi non dobbiamo mai smettere di coltivare la speranza che sia davvero possibile la pacifica convivenza tra i popoli. “Si ottiene tanto quanto si spera”, scrisse il grande mistico san Giovanni della Croce.

Papa Francesco ci invita a essere, ciascuno nel suo ruolo e nella sua responsabilità, “artigiani di giustizia e di pace”. Per questo mi piace ricordare qui le parole nitide della nostra Carta costituzionale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

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