Di sesso si parla spesso, ma non sempre nel modo giusto e rispettoso di tutti. Infatti, quando si associa alla sessualità la condizione di disabilità, si iniziano a fare i conti coi pregiudizi, gli stereotipi e i limiti, sia interiori che posti dalla società, scaturiti da questo accostamento.

Si tende a credere che le persone disabili non possano godere della possibilità di avere una vita sessuale e di beneficiare dell’attività sessuale al pari degli altri. Al contrario la sessualità nella disabilità, concepita come diritto umano universale, riguarda un concetto da sostenere ed estendere a parità di qualunque tipo di condizione.

Già nel 1993 l’Assemblea generale dell’Onu ha pubblicato un documento nel quale veniva riconosciuto a tutti i portatori di handicap, sia fisico che mentale, il diritto “di fare esperienza della propria sessualità, di viverla all’interno di una relazione, di avere dei figli, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società fornisce, e anche, non ultimo, il diritto a ricevere un’educazione sessuale”.

Questo documento ha rappresentato l’esito di una riflessione attorno alla tematica della sessualità in condizioni di disabilità, simboleggiando la maturazione di una presa di coscienza circa la legittimazione a poterne, e a doverne, godere. Il disagio e l’imbarazzo che spesso si prova quando si parla di sesso aumentano quando ci si ritrova ad affrontare l’argomento con persone portatrici di disabilità, dal momento che ci rimane estremamente difficile immaginare quali gesti, immagini, sensazioni o contenuti vadano a formare la loro idea di sessualità.

Questo conduce spesso alla percezione intrinseca di non sentirsi abbastanza attrezzati o addirittura autorizzati per addentrarci all’interno della loro vita sessuale, affinché possiamo capire quale idea di sessualità stiano usando, quali significati e aspettative rivesta per loro, di quali comportamenti o timori si componga.

Va innanzitutto sfatato il mito che persone con disabilità, in particolar modo mentale, non abbiano pensieri o non provino desideri sessuali: all’opposto, la loro vita sessuale e affettiva è regolata da centri cerebrali che non rientrano nelle aree compromesse causanti il deficit intellettivo. È per questo che, accanto a curricula volti a far ottenere all’individuo disabile la massima autonomia possibile, andrebbe garantito un supporto specifico per aiutarli a raggiungere un grado accettabile di benessere sessuale.

L’esigenza della sessualità e della relazione si pongono infatti come prerogative comuni all’essere umano. Spesso, in casi di disabilità mentale grave, l’attività sessuale si riduce tendenzialmente al semplice autoerotismo e anche in questi casi occorrerebbe intervenire per far sì che venga praticato in totale sicurezza e privacy. Per quanto riguarda invece la disabilità motoria, va tenuto conto del fatto che i limiti nella motricità non impediscono di generare o ricevere piacere o di avere pensieri sulla sessualità; pertanto, la persona disabile andrebbe seguita e supportata affinché possa raggiungere e mantenere uno stato prospero di salute sessuale.

In questo compito l’educazione sessuale si rivela di fondamentale importanza, per il ruolo che riveste nel sostenere bisogni, dubbi e conoscenze da parte di persone che, nell’immaginario comune, vengono relegate a un ruolo di minore accesso a tale tematica. Compito dell’educatore sarà quello di porsi come mediatore tra i bisogni della persona e la messa in atto di comportamenti funzionali, cogliendo e coniugando richieste, esigenze e possibilità.

L’obiettivo principale di chi lotta a favore delle persone disabili è quello di permettere loro di determinare, almeno in parte, la propria vita, di orientare le proprie scelte e permettere che condividano con qualcuno, anche nell’intimità, sentimenti, storie e significati. Perché un’uguaglianza sia finalmente possibile, è necessario partire dall’offrire a tutti le stesse possibilità di evoluzione, ponendo particolare attenzione a chi presenta maggiori difficoltà.

Si ringrazia la dr.ssa Elisa Ginanneschi per la collaborazione

Articolo Precedente

Finalmente è stata ridotta la Tampon tax (solo in parte). Ma contro il pregiudizio la strada è lunga

next
Articolo Successivo

Giornata mondiale disabilità, il capitano azzurro di powerchair hockey: “Dai musei ai bus, la società non è ancora pronta per i nostri diritti”

next