“Scusate!”. Ruota tutta intorno a questa parola la lettera che il vescovo di Belluno-Feltre, monsignor Renato Marangoni, ha scritto ai coniugi separati o divorziati o sposati civilmente o non sposati. Un frutto, tra i primi in Italia, dei due Sinodi sulla famiglia voluti da Papa Francesco e della sua lettera apostolica post sinodale Amoris laetitia che tanto scalpore ha destato nei cosiddetti tradizionalisti.

“C’è una parola iniziale – scrive Marangoni – da confidarvi: scusate! C’è in questa parola la nostra consapevolezza di avervi spesso ignorato nelle nostre comunità parrocchiali. Forse avete anche sofferto per atteggiamenti tra noi di giudizio e di critica nei vostri confronti. Abbiamo anche per un lungo tempo dichiarato che non potevate essere pienamente ammessi ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, mentre in molti di voi c’era il desiderio di essere sostenuti dal dono dei sacramenti e dall’affetto di una comunità”.

Per il presule, “in questo ci siamo irrigiditi su una visione molto formale delle situazioni familiari a cui eravate pervenuti. Abbiamo sbagliato a non considerare altrettanto la situazione personale, i sogni che avevate alimentato, la vostra vocazione alla vita coniugale con i progetti di vita che comportava, seppure incorsi in vicende familiari travagliate, dove tanti fattori possono essere stati decisivi a ostacolare tutto questo. È proprio in queste situazioni complesse che la responsabilità personale ha bisogno di essere sostenuta e aiutata proprio nelle sue fragilità. A chi tra voi si è scoraggiato e ha lasciato le nostre comunità parrocchiali, siamo qui per confidarvi che ci mancate e che sentiamo di aver bisogno di voi e della vostra testimonianza di vita. Siamo consapevoli che le vicende travagliate, che avete attraversato e che hanno disturbato e ferito i vostri affetti familiari, possono aiutarci tutti a considerare la vita come un dono mai scontato, come una responsabilità mai conclusa, come un poter ricominciare il percorso dell’esistenza per la promessa che esso rappresenta”.

Un’apertura condivisa anche dal vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo, impegnato a dare attuazione concreta alle indicazioni contenute in Amoris laetitia. Nella sua diocesi, infatti, è stato deciso “di prevedere per certe coppie che non vivono in pienezza il matrimonio cristiano la possibilità di accedere alla partecipazione sacramentale”. Il tutto, al termine di un “percorso di accompagnamento” gestito dal parroco o direttamente dal vescovo. Si tratta di iniziative importanti che stanno segnando un cambiamento di mentalità, soprattutto all’interno della Chiesa italiana. A testimonianza che i processi fortemente voluti e avviati da Bergoglio stanno iniziando a portare frutti.

Il Papa è sempre stato molto chiaro: “I divorziati risposati non sono affatto scomunicati e non vanno assolutamente trattati come tali: essi fanno sempre parte della Chiesa”. Da qui si è innestato il cammino sinodale che sta portando ora ad aperture concrete come quelle che si sono verificate nelle diocesi di Belluno-Feltre e Vittorio Veneto. Ma l’attenzione, all’interno delle singole diocesi, soprattutto in Italia, al tema dei divorziati risposati ha un precedente illustre. Nel 2008 fece molto scalpore la decisione dell’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, di indirizzare una lettera proprio agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione. Si intitolava Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito.

“Anzitutto – scriveva il porporato – voglio dirvi che non ci possiamo considerare reciprocamente estranei: voi, per la Chiesa e per me vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati. E questo mio desiderio di entrare in dialogo con voi scaturisce da un sincero affetto e dalla consapevolezza che in voi ci sono domande e sofferenze che vi appaiono spesso trascurate o ignorate dalla Chiesa. Vorrei allora dirvi che la comunità cristiana ha riguardo del vostro travaglio umano. Certo, alcuni tra voi hanno fatto esperienza di qualche durezza nel rapporto con la realtà ecclesiale: non si sono sentiti compresi in una situazione già difficile e dolorosa; non hanno trovato, forse, qualcuno pronto ad ascoltare e aiutare; talvolta hanno sentito pronunciare parole che avevano il sapore di un giudizio senza misericordia o di una condanna senza appello. E hanno potuto nutrire il pensiero di essere stati abbandonati o rifiutati dalla Chiesa”. Ma oggi sembra che le cose stiano iniziando a cambiare.

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