Guardando al nostro Paese con occhio distaccato era impossibile pensare che potesse finire in altro modo. Ma spesso, quando la verità ci disturba, ci giriamo dall’altra parte. Oggi quella verità è proprio davanti ai nostri occhi e non ci sono più altre direzioni verso le quali volgere lo sguardo.

In Italia, nel 2019, una senatrice a vita, ma soprattutto una signora di 89 anni, ebrea, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti e colpevole (fa ridere solo a scriverlo) di essere la prima firmataria e di dare il nome a una commissione contro razzismo, antisemitismo e ogni forma di istigazione all’odio ha bisogno della scorta di due carabinieri per vivere in sicurezza. Perché ogni giorno riceve almeno 200 messaggi di insulti e minacce a causa della sua battaglia contro ogni forma di discriminazione.

I dati li abbiamo sotto gli occhi da diversi anni: gli episodi di antisemitismo (ma anche di intolleranza contro musulmani, rom, sinti e comunità Lgbt) sono in crescita in tutta Europa. Il nostro vocabolario è cambiato: ciò che prima provocava vergogna oggi non sortisce alcun effetto sulla nostra morale. Ciò che, al massimo, veniva pronunciato (e tenuto ben chiuso) tra le mura di casa oggi viene ostentato con orgoglio in pubblico o, per gli animi più “pavidi”, sui social, magari dietro falsa identità.

“Sono episodi”, “la gente è esasperata”, “è colpa della crisi e della povertà”, “il razzismo non esiste”, “ma quale fascismo, la sinistra ci vuole criminalizzare”. Sono frasi che abbiamo sentito troppo spesso negli ultimi tempi. E forse ci sono anche piaciute, perché ci dicevano che, in fondo, questa nube nera sulla nostra testa non era altro che una nuvola passeggera e che le nostre preoccupazioni, in fondo, erano esagerate.

Invece no. Perché se ogni mattina c’è chi si alza e ha come primo pensiero quello di entrare sul proprio profilo social per lanciare offese o, peggio, minacce nei confronti di una donna che mai ha lasciato spazio all’odio verso gli altri nel suo vocabolario, che ha come colpa quella di rappresentare l’argine all’unica valvola di sfogo quotidiana per migliaia di frustrati, allora abbiamo un problema.

Sì, perché, nonostante la mia memoria storica non possa spingersi troppo indietro, ricordo i racconti di guerra di mio nonno e mia nonna. Di aver assorbito, a casa come a scuola, l’antifascismo e la lotta all’antisemitismo come valori che non avevano alternative, al pari dell’amore per la famiglia o di quello per i propri figli. Non si poteva essere antisemiti o fascisti, era contro natura. E immagino che questi racconti, la trasmissione di certi valori, mi accomunino a gran parte dei miei coetanei e dei figli e nipoti di chi ha vissuto il giogo fascista.

Evidentemente, però, l’abbiamo dato troppo per scontato. O forse solo dimenticato. Altrimenti non si spiegherebbe il successo di movimenti e partiti che fanno sempre più fatica (diciamo così) a condannare razzismo, fascismo e antisemitismo. Perché in quel buco nero del nostro Paese si nascondono più voti di quelli che pensiamo. Perché strizzare l’occhio ai nostalgici, ai violenti e ai razzisti può fare la differenza tra governare o no. Perché aver creato un nemico, l’altro, da dare in pasto alla folla inferocita serve a distogliere l’attenzione delle masse dai reali problemi e dai veri colpevoli del disastro. E se qualcuno come Liliana Segre, con la quale ci si può anche trovare in disaccordo, si batte per togliere dalle fauci della massa la vittima ingiustamente sacrificata, sarà lei a diventare preda dell’odio collettivo.

Le conseguenze di questo degrado le avevamo davanti agli occhi, ma siamo dovuti comunque arrivare a costringere una sopravvissuta alla Shoah a vivere sotto scorta, a 89 anni, per accorgercene. Forse. Speriamo, almeno, che sia sufficiente.

Twitter: @GianniRosini

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