La ditta era sequestrata per mafia ma il figlio del boss continuava a trattare con i commercianti che provavano “forti timori”. Tutto sotto la vigilanza dell’amministratore giudiziario che “in evidente disprezzo delle più elementari regole” si “appropriava, senza alcun titolo, in assenza di qualsiasi autorizzazione, di somme dalle imprese amministrate”. Per questo la Dda di Palermo aveva chiesto l’arresto in carcere del commercialista Maurizio Lipani, di 54 anni, stimato professionista nel settore delle amministrazioni giudiziarie, accusato di peculato e autoriciclaggio, per aver sottratto oltre 355mila euro dai conti di alcune società sequestrate. Da ieri si trova ai domiciliari su disposizione del gip Marcella Ferrara. La Dia di Trapani ha perquisito il suo studio, eseguendo il sequestro di circa 340 conti a lui riferibili “su cui stiamo lavorando al momento” ha detto il procuratore capo Francesco Lo Voi, lasciando trapelare un seguito delle indagini, partite nel marzo 2018 dopo una segnalazione della Direzione nazionale Antimafia su movimentazioni bancarie anomale.

È tornato in carcere invece Epifanio Agate, 46enne figlio di Mariano, storico capomafia di Mazara del Vallo morto nel 2013, che lo scorso anno dopo un’assoluzione per estorsione aveva ripreso la gestione di due società, nel frattempo finite sotto sequestro: la Glocal Sea Fresh e la My land srl. Se ne occupava insieme alla moglie, Rachele Francaviglia, cui la Dia ha notificato gli arresti domiciliari. Erano loro a sollecitare i pagamenti di alcuni crediti arretrati ed erano loro a riscuoterli, soprattutto in contanti. Molti dei commercianti non erano mai stati informati del sequestro. “Amministratore Lipani? No, non lo conosco, mai sentito“. E ancora: “Chi lo conosce?”, hanno detto alcuni dei commercianti interrogati dagli investigatori. “Ribadisco di aver sempre trattato con “Epi” per le forniture che poi mi venivano effettuate dalla Glocal alla quale alla fine pagavo il corrispettivo”, ha raccontato l’amministratore di una società che si riforniva da Epifanio Agate. Mentre un’altra commerciante, che ha confermato di interloquire con i coniugi, non è riuscita a mascherare le “forti preoccupazioni” mostrando delle chat whatsapp con la moglie di Agate.

Da anni il rampollo di una delle famiglie mafiose più importanti è al centro delle attenzioni investigative. Nel dicembre 1996 sfuggì all’arresto ma si costituì nell’estate del 1997 al carcere de L’Aquila, dove era detenuto il padre. Tornato in libertà aveva rivestito i panni di ambasciatore del genitore. Venne arrestato nel 2003 in seguito all’indagine Igres su un mega traffico di cocaina, in cui gli investigatori ascoltarono “l’insoddisfazione” del clan verso per il suo operato. “Con l’amico tuo sono un pochettino deluso”, diceva il boss Vito Gondola (morto nel gennaio 2018), intercettato nel blitz Annozero, riferendosi a Epifanio Agate che non “voleva abbracciare” tutte cose, riferendosi all’indolenza a gestire la famiglia mafiosa di Mazara del Vallo.

Dopo il sequestro aveva spostato i magazzini ma lontano solo in numero civico rispetto alla precedente sede, in una struttura di proprietà di un’altra società. E stava dirottando dei clienti verso fornitori affidabili e consigliati. Non se ne sarebbe accorto l’amministratore giudiziario Maurizio Lipani. Che nel frattempo si autoliquidava “saldi fatture”, e “giroconti”, drenando i fondi dalle amministrazioni giudiziarie ai suoi conti. Triangolandone una parte (35mila euro) per l’acquisto di uno studio di commercialisti con sede a Milano. I soldi oltre che dai beni riferibili ad Agate venivano prelevati anche dai conti corrente delle società prima sequestrate e poi confiscate ad Antonio Moceri e Tancredi Antonino: 93 prelievi per un totale di 318 mila euro. Il Tribunale di Trapani lo aveva già diffidato per “iniziative non concordate” e per il mancato deposito di “alcuna relazione”. Nei primi di giugno però eseguì un altro bonifico e venne definitivamente rimosso dai giudici.

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