Lo Stato che non paga le fatture, le aziende che si indebitano, il costante rischio fallimento. Sono storie ordinarie di paradossi che sembrano osteggiare l’attività imprenditoriale anziché favorirla. Ma quando in mezzo ci si mette anche la crisi politica, ecco che le cose si fanno ancora più difficili. Lo sa bene Rossella Pezzino de Geronimo, amministratore unico della Dusty, società catanese impegnata nei servizi ambientali sul territorio nazionale. Come rivela a Ilfattoquotidiano.it, ad oggi l’imprenditrice vanta 15 milioni di euro di crediti con la Pubblica amministrazione, ma il meccanismo che permetterebbe alla sua impresa di “spendere” questi crediti per pagare debiti e tasse relativi al 2018 è rimasto bloccato nel limbo dei palazzi romani. “Di solito il governo pubblicava entro l’estate un decreto che dava il via libera all’operazione, eppure quest’anno è in forte ritardo”, spiega. “Se non dovesse arrivare, tante aziende saranno costrette ad attingere alle risorse della propria attività, mettendone a rischio la tenuta”. A suo parere, però, questa è solo una parte del problema: “Bisogna intervenire sulle regole inique che riguardano tutto il sistema di compensazione delle imposte. Non è possibile che le imprese falliscano per colpa di uno Stato approfittatore”. “La Dusty dà lavoro a 1.500 persone, è soprattutto per loro che non posso permettermi di gettare la spugna”, racconta Pezzino de Geronimo.

Cosa succede quando lo Stato è debitore
La situazione descritta dall’imprenditrice è comune a quella di tante società private che svolgono un servizio pubblico (la raccolta dei rifiuti, l’erogazione dell’acqua) o che hanno vinto appalti indetti dalla Pa. Spesso si tratta di commesse milionarie, capaci da sole di tenere in piedi un’impresa, ma che rischiano di avere effetti devastanti quando i pagamenti tardano ad arrivare. E non succede di rado: come dimostrano i dati del 2018 diffusi dal ministero dell’Economia, i tempi di liquidazione delle fatture da parte degli enti locali sono estremamente variabili. La regione Basilicata impiega in media 103 giorni, la Sicilia 60, solo metà mese la Toscana. Ma ci sono Comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, dove gli imprenditori sono costretti ad attendere più di un anno prima di vedere un euro.

La conseguenza è che poi diventa arduo, da un lato, rimanere sul mercato continuando ad erogare i servizi promessi, e dall’altro versare le tasse all’erario. Per mettere una pezza a questo paradosso, è stato varato un meccanismo di compensazione dei tributi. Disciplinato a fine anni Novanta e riformato con il cosiddetto decreto Salva Italia firmato Mario Monti, in sostanza prevede che quando un’azienda è creditrice nei confronti di un ente pubblico, può chiedere la “certificazione” di quel credito e presentarla all’Agenzia delle entrate in sede di riscossione delle tasse. Il primo problema è che la procedura non è automatica: ogni anno, infatti, spetta al governo prorogarla attraverso un apposito decreto (in base alle disponibilità finanziarie correnti). È il passaggio che ancora non è stato fatto quest’anno. Il secondo problema è che le società possono ricorrervi solo quando sono già in ritardo con il pagamento delle imposte, cioè quando hanno ricevuto le temute cartelle esattoriali. Così, alle somme già dovute al Fisco, si aggiungono pure sanzioni e interessi.

L’imprenditrice: “Riformare il sistema di compensazione”
“La Pa può fare quello che vuole in questo Paese: evita di pagare i suoi debiti verso le imprese che svolgono un servizio pubblico, eppure ha persino inventato un sistema per approfittare di tutto ciò, pretendendo più soldi del dovuto”, commenta Pezzino de Geronimo a Ilfattoquotidiano.it. Come? “Quando un’azienda ritarda nel pagare le tasse, il suo debito con l’Agenzia delle entrate lievita per sanzioni e interessi che viaggiano intorno al 40 per cento”, chiarisce l’imprenditrice. “Soltanto a quel punto, però, e cioè quando viene emessa la cartella esattoriale, è possibile utilizzare i crediti che la stessa azienda vanta con lo Stato per compensare i suoi debiti. Non prima”. Un principio che lei giudica sbagliato: “Perché questa compensazione non può avvenire subito, evitando costi ulteriori di cui le aziende non hanno colpa?”.

Se poi il via libera al meccanismo tarda ad arrivare, come sta accadendo quest’anno, l’unica soluzione è la rateizzazione dei debiti. “Non c’è alternativa, perché altrimenti interviene l’ex Equitalia a dichiarare inadempiente la società, rendendole impossibile partecipare ad altre gare d’appalto”, aggiunge Pezzino de Geronimo. Uno scenario che lei vuole evitare a tutti i costi, “anche se a queste condizioni, specie nel sud Italia, diventa impossibile lavorare serenamente”, conclude. “Tanti imprenditori non ce l’hanno fatta, come il collega di Monza, Sergio Bramini, e altrettanti sono impegnati in lunghe cause contro lo Stato. Quando finirà questa lotta ad armi impari?”.

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