Mettere da parte la regola ferrea del pareggio di bilancio per ridare slancio a un’economia in difficoltà. Alle voci critiche nei confronti dell’austerity in Germania si aggiunge anche quella di Dieter Kempf, numero della Bdi (Bundesverband der Deutschen Industrie, la nostra Confindustria). Per la prima volta, parlando ai giornalisti a Berlino, il leader degli industriali ha espressamente chiesto al governo di abbandonare lo Schwarze Null e concedere almeno quel minimo di investimenti in deficit che la costituzione tedesca concede: lo 0,35% del Pil, pari a circa 10-12 miliardi.

L’appello di Kempf ad Angela Merkel e al suo esecutivo si inserisce in un dibattito cominciato già quest’estate in Germania, quando in primis molti economisti hanno cominciato a chiedere maggiore flessibilità: investire, anche a costo di fare debiti. Per ora però la cancelliera non ci ha voluto sentire e anche il pacchetto di misure per il clima da 100 miliardi fino al 2030 è stato redatto rispettando il pareggio di bilancio. Le critiche arrivano dai Verdi, da sempre critici nei confronti dell’austerity in Europa, ma anche da alcune correnti interne ai socialdemocratici al governo insieme alla Cdu. Le argomentazioni sono per tutti le stesse usate da Kempf: “Un decennio fa c’era davvero bisogno di migliorare il deficit, ma oggi la situazione è molto diversa. Il boom economico sta volgendo al termine, lo Stato può prendere a prestito soldi a tassi di interesse negativi e abbiamo una grande carenza di investimenti”, ha sottolineato il leader degli industriali.

Per questo la Bdi chiede che il governo inverta la rotta e faccia più investimenti, abbandonando il pareggio di bilancio. Dal 2009 nella costituzione tedesca è previsto infatti il Schuldenbremse, il “freno al debito”, che consente uno scostamento massimo pari allo 0,35% del Pil anche in situazioni congiunturali normali. Considerando il prodotto interno lordo tedesco 2018, si tratterebbe appunto di 11,86 miliardi di euro che secondo Kempf il governo deve utilizzare per ridare vigore all’industria.

Infatti, il Pil tedesco non cresce più ai ritmi di un tempo, anzi, nel terzo trimestre il Paese rischia la recessione tecnica. L’industria, locomotiva d’Europa, continua da mesi a produrre sempre meno. E con la Germania fatica tutta l’Eurozona, rallentata da guerra dei dazi e difficoltà dei Paesi emergenti. A criticare apertamente l’austerity è stato d’altronde anche il presidente della Bce, Mario Draghi, durante la sua ultima audizione alla commissione Affari economici del Parlamento Ue prima di lasciare il posto a Christine Lagarde. Le regole di bilancio dell’area euro vanno “riviste” perché “finora hanno funzionato, sono state efficaci per evitare l’accumulazione di debito, ma non sono abbastanza efficaci nelle fasi in cui servono interventi anticiclici“. Cioè, in questa fase, politiche di stimolo alla crescita che sta rallentando più del previsto. Un’entrata a gamba tesa nella partita cruciale per la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen: la revisione del Patto di stabilità. La Germania lo ha sempre difeso, ma ora ha suoi detrattori anche in casa.

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