Il nono mese consecutivo di cali, il ribasso più forte da 10 anni. Anche a settembre non arrivano buone notizie per l’economia della Germania: l’indice dei direttori d’acquisto (Pmi), che monitora l’attività manifatturiera, è crollato a 41,44 punti contro i 43,5 di agosto e a fronte di una stima degli analisti consultati da Bloomberg di 44. Un valore molto lontano dalla soglia dei 50 punti che fa da spartiacque tra l’espansione e la contrazione. Frena anche l’attività dei servizi che però si mantiene ancora in espansione: secondo i dati di Ihs Markit l’indice Pmi servizi si attesta a 52,5 punti dai 54,8 di agosto (ai minimi da 9 mesi).
Dati non certo inaspettate, visto che già l’indice Ifo che misura la fiducia delle imprese aveva segnato un nuovo record negativo ad agosto, accompagnando i risultati negativi della produzione industriale di luglio: -4,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La produzione tedesca si è inceppata e l’economia non cresce più: nel secondo trimestre il pil di Berlino ha segnato una contrazione congiunturale dello 0,1 per cento. E ora lo stesso istituto Ifo prevede che l’economia entrerà in recessione tecnica nel terzo trimestre dell’anno, dal momento che si attende un ulteriore calo del pil dello 0,1%. La fase di stagnazione si trascina ormai dall’anno scorso: già nel terzo trimestre 2018 il prodotto interno lordo della Germania aveva segno negativo e il Paese aveva sfiorato la recessione.
Il governo Merkel sta tentando di correre ai ripari: l’ultima mossa è stata il pacchetto sul clima che prevede misure per 100 miliardi di euro fino al 2030. Anche questa volta però nessuno strappo alla regola dello Schwarze Null, il pareggio di bilancio. I Verdi all’opposizione, ma anche alcune correnti interne alla Spd e molti economisti, chiedono invece a Berlino di cambiare strategia e sdoganare gli investimenti in deficit per ridare linfa alla locomotiva economica d’Europa.
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