Lucia Panigalli deve essere protetta dalle istituzioni e non deve vivere nella paura. Ha il diritto di essere una donna libera e lo Stato le deve garantire protezione. La sua non deve essere la cronaca di una morte annunciata come è accaduto in passato ad altre donne vessate da uomini violenti che prima sono state private della libertà e poi della vita: come Marianna Manduca, uccisa dopo 12 inutili denunce dall’ex marito, a Palagonia. O come Elisaveta Talpis che venne gravemente ferita e perse un figlio: Ion Talpis ferito a morte mentre la difendeva dall’aggressione di Andrej Talpis (l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna vittima di violenza).

Lucia Panigalli subì stalking da Mauro Fabbri dopo la fine di una breve relazione. La notte del 16 marzo del 2010 mentre rientrava a casa venne brutalmente aggredita da un uomo incappucciato che la accoltellò e poi cercò di finirla a calci sulla testa con scarpe da lavoro. Quell’uomo era l’ex, Mauro Fabbri che venne condannato a 8 anni e 6 mesi. La fine della pena era prevista nel 2020 ma ha usufruito di uno sconto di pena: 224 giorni in meno per buona condotta anche se in carcere promise al compagno di cella, Radev Stanyo Dobrev, 25 mila euro, un trattore e un’auto per finire ciò che lui aveva cominciato. Per questo venne processato e assolto nel 2017 perché, in base all’articolo 115 del codice penale, era stato un “quasi delitto”. Lucia Panigalli da due anni si sta battendo con gli avvocati Eugenio Gallerani e Giacomo Forlani per modificare una norma che esclude che due o più persone possano essere condannate per essersi accordate con l’obiettivo di commettere un reato, se questo poi non viene commesso. Ora Lucia vive con la sensazione di avere i giorni contati, “è come avere un cancro“, dice di vivere come una malata terminale perché l’uomo che voleva ucciderla, è libero dal 29 luglio e abita a 4 chilometri di distanza.

Le situazioni di potenziale minaccia sono difficili da affrontare. Le misure cautelari nei casi di violenza contro le donne prevedono l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla persona offesa, gli arresti domiciliari e il carcere. “Sono misure efficaci – spiega Elena Baggioni, avvocata D.i.RE (Donne in Rete contro la violenza) – ma ci sono situazioni in cui purtroppo sono insufficienti perché i violenti non si fermano anche se colpiti da provvedimenti e allora le donne devono essere messe al sicuro allontanandosi dai luoghi in cui vivono e che frequentano abitualmente”. È difficile da accettare ed è ingiusto ma a volte non ci sono alternative perché il ‘fine pena mai‘ per i rei, non esiste, salvo casi rari. “In questo caso – spiega Baggioni – le Case Rifugio a indirizzo segreto possono accogliere e ospitare per diversi mesi le donne che sono in una situazione di pericolo e possono aiutarle a ricostruirsi una vita anche in altre città. Accade non di rado che i Centri antiviolenza accolgano donne provenienti da altre città o regioni, per garantire loro una maggiore sicurezza”.

Nei casi di elevata pericolosità possono essere applicate anche le “misure di prevenzione” che sono solitamente adottate per mafiosi o ultrà del calcio. Sono un cavallo di battaglia del giudice Fabio Roia, presidente di sezione del Tribunale di Milano. Si tratta di interventi imposti a soggetti pericolosi, con precedenti penali, che prevedono controlli e limitazioni della libertà di movimento per un periodo che va da 1 a 5 anni. Ci sono anche i braccialetti elettronici ma sono una soluzione solo apparentemente semplice. Ma sono pochi e ce ne sono di due tipi. Uno che viene messo a coloro che sono agli arresti domiciliari e l’altro tipo che in teoria dovrebbe essere indossato da chi è colpito da divieto di avvicinamento ma ci sono stati problemi tecnici. La vittima è dotata di un device che in alcuni casi si è attivato anche se lo stalker non si stava avvicinando.

La storia di Lucia è anche la storia di un fallimento dello Stato e del sistema. Come è possibile che un detenuto dica a un compagno di cella di voler uccidere una donna e ottenga uno sconto di pena per buona condotta? E che ne è dei percorsi di recupero dei carcerati se Mauro Fabbri progettava crimini mentre era in carcere? Ora le istituzioni devono pensare a Lucia che deve essere al sicuro e libera dalla paura e i Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna sono pronti ad accoglierla.

@nadiesdaa

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