La lunga storia della Ferriera di Trieste, l’Ilva del Nord con oltre un secolo di vita alle spalle, potrebbe essere giunta a una svolta. Secondo quanto rivelato dal quotidiano locale Il Piccolo, l’Autorità portuale di Trieste ha avviato una due diligence per stimare il valore della zona dove si trova l’area a caldo dello stabilimento siderurgico, la parte più impattante per le emissioni prodotte. La prospettiva sarebbe il subentro di soggetti terzi interessati allo sviluppo logistico e, di conseguenza, la dismissione dell’area a caldo nel 2022, guarda caso l’anno prima delle prossime elezioni regionali. I precedenti di strumentalizzazione politica non mancano: nel 2016 Roberto Dipiazza (Fi), impegnato nella campagna elettorale che lo avrebbe incoronato per la terza volta sindaco di Trieste, promise di chiudere l’area a caldo “entro 100 giorni”.

Divenuta nota alle cronache nazionali a causa degli alti valori di benzo(a)pirene e polveri sottili registrati nel quartiere di Servola (il Tamburi triestino), nel 2014 lo stabilimento siderurgico era passato, in seguito a una crisi del gruppo Lucchini, al “cavaliere dell’acciaio” Giovanni Arvedi. Da allora l’industriale cremonese, vincolato da un accordo di programma sottoscritto con governo e Regione, ha messo in campo una serie di provvedimenti per limitare l’inquinamento prodotto. Ma a distanza di cinque anni continuano a verificarsi problemi: se i valori registrati dalle centraline nel corso del 2019 risultano per lo più rientrati nei limiti di legge, nei mesi di luglio e agosto ci sono stati diversi episodi di “spolveramenti” e fumate anomale che hanno allarmato i residenti e hanno spinto l’amministrazione regionale guidata da Massimiliano Fedriga (Lega) a sanzionare la proprietà.

L’ipotesi di chiusura dell’area a caldo, resa ora più concreta dall’indagine dell’Autorità portuale, potrebbe realizzarsi – stando a quanto afferma l’assessore regionale all’Ambiente Fabio Scoccimarro (FdI) – nel 2022, giusto in tempo per le nuove regionali del 2023. In seguito alla mossa dell’Autorità portuale la Ferriera è così tornata terreno di scontro politico: “Nuovi investimenti per continuare con la produzione dell’area a caldo non saranno convenienti per la proprietà – osserva il consigliere regionale Andrea Ussai (M5S) –. Non è merito della Giunta regionale, ma di un impianto obsoleto e, semmai, dell’Autorità portuale che ha creato le condizioni per rilanciare quell’area”. Ussai commenta anche le sanzioni annunciate dalla Regione: “Meglio di niente ma troppo poco, visto che le promesse in campagna elettorale parlavano di una profonda revisione dell’Autorizzazione integrata ambientale e della chiusura dell’impianto. Oggi invece si abbassa la testa davanti ad Arvedi, sbandierando un presunto rispetto dei limiti in assenza, dal 2016, di un Piano industriale e di un cronoprogramma per superare l’attuale produzione e tutelare i posti di lavoro”.

Alle accuse risponde Scoccimarro, secondo cui “la linea politica del governo regionale è cambiata” da quando si è insediato il governatore Fedriga e “il cavaliere Arvedi ha preso atto della volontà della Regione di perseguire un nuovo percorso di sviluppo dell’area a caldo individuando nell’Autorità portuale il soggetto che possa fungere da braccio operativo, perché no anche grazie a eventuali investimenti regionali”. L’opzione di coinvolgere l’Autorità portuale, osserva l’assessore, “permetterebbe di chiedere al Ministero dell’Ambiente fondi per la bonifica dell’area poiché la proprietà sarebbe pubblica e non più privata”. Insomma, una regione “protagonista”, “che si assume l’importante compito di coordinare le varie fasi dello sviluppo futuro dell’area mettendo attorno al tavolo nuovamente i sottoscrittori dell’accordo di programma 2014”.

In allarme i sindacati, che chiedono garanzie sul futuro dei 340 operai dell’area a caldo e lamentano di essere stati tagliati fuori dal confronto tra proprietà e istituzioni. Mentre sono perplessi, per il momento, gli ambientalisti: “Il problema non è solo locale – osserva Alda Sancin dell’associazione NoSmog –, si parla di revisionare l’accordo di programma, ma questo significa coinvolgere i ministeri a Roma”. M5S e Lega sono entrambi favorevoli alla chiusura dell’area a caldo, ma l’attuale crisi di governo spariglia le carte in tavola: “Si vocifera di un governo M5S-Pd, ma è proprio il Pd – nelle persone di Renzi in qualità di premier e Serracchiani come presidente del FVG – ad aver sottoscritto l’attuale accordo di programma”. Il Comitato 5 Dicembre, che nel gennaio 2016 portò in piazza più di 4mila persone chiedendo la chiusura dell’area a caldo, commenta amaro: “Nella migliore delle ipotesi la chiusura nel 2022 significherebbe aver perso quasi sette anni da quando ci siamo attivati per alzare i toni della protesta popolare. Sette anni di salute e coesione sociale. Biasimiamo non soltanto la politica, dalla quale purtroppo non ci possiamo più aspettare nulla di buono, ma soprattutto la cittadinanza che non ha voluto portare avanti fino in fondo una lotta civile”.

Articolo Precedente

Pedemontana Veneta, il pasticcio del casello fantasma di Montecchio. In programma da 20 anni ma lavori ancora da assegnare

next
Articolo Successivo

Salvini, chi sono gli imprenditori con lui: l’ex renziano re delle pentole, il signore del vino pugliese e l’erede che fa affari con l’acqua minerale

next