Nella campagna trevigiana, non più tardi di undici mesi fa, a metà settembre 2018, i vertici dello sport e del ciclismo italiani celebravano la posa della prima pietra di quello che avrebbe dovuto diventare il più importante velodromo italiano. Era stato dato il via a un’opera da 30 milioni di euro, da realizzare in project financing, con il compito per il concessionario di costruire e gestire per 50 anni l’impianto sportivo. Inoltre, c’era il vincolo contrattuale di ospitare un campionato del mondo su pista. Undici mesi dopo la gara è già finita. Il cantiere è chiuso. La società che aveva vinto la gara ha portato i libri in Tribunale. A Lovadina di Spresiano, una decina di chilometri a nord del capoluogo della Marca, che si fregia di essere la città della bicicletta, rimane un enorme area chiusa per lavori in corso. Che chissà quando avranno termine.

E pensare che nell’ultimo anno tutte le dichiarazioni pubbliche erano entusiastiche. Aprendo il cantiere, il presidente Federciclo, Renato Di Rocco, aveva detto: “Siamo arrivati ad un punto fermo e di partenza, riusciremo a spuntarla prima del previsto”. E Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del consiglio: “Dopo tante vicissitudini, questa è una giornata storica per il ciclismo italiano. Mi prenoto già per l’inaugurazione, tra 16-18 mesi, nella convinzione che questo Governo ci sia”. Forse il governo ci sarà, il velodromo no. Il governatore veneto Luca Zaia: “Il Veneto è protagonista di una svolta storica dell’impiantistica sportiva e sta per diventare una delle capitali mondiali di questa disciplina “. Dulcis in fundo, il presidente del Coni, Giovanni Malagò: “In vista di Tokyo 2020, prima entra in funzione questo Velodromo meglio è per lo sport italiano”. Per fnire, Massimo Pessina, presidente di Pessina Costruzioni: “Per noi è una sfida in cui ci siamo, costruiremo e rimarremo qui per molti anni. Per questo vogliamo costruire prima e bene per poi gestirlo sempre meglio”.

Il progetto era quello di farne una struttura polifunzionale, da impiegare anche per altre attività, non solo sportive. Non è andata così, anche se ad aprile vennero invitati i giornalisti nei cantieri, con un annuncio: “I lavori dovrebbero concludersi nella primavera del 2020, in tempo per la preparazione delle Olimpiadi di Tokyo”. E si pensava di presentare a Spresiano tutte le squadre olimpiche della bicicletta. Invece il gruppo Pessina, che aveva costituito la società “Velodromo” per questo progetto, il 24 luglio ha presentato richiesta di concordato preventivo in bianco al Tribunale di Milano. La situazione è precipitata perché fornitori e ditte che lavoravano nel cantiere non venivano pagati. Già nominati i commissari, Alfredo Haupt e l’avvocato Paolo Pagini. La questione è già finita sul tavolo del sottosegretario Giorgetti, perché un accordo di programma con la federazione ciclistica prevedeva l’utilizzo di 27 milioni di euro della finanziaria 2017. Intanto la responsabile unica del procedimento, Maria Cristina Gabriotti, segretario generale della Fci aveva inutilmente inviato solleciti. Adesso la Pessina ha messo a disposizione un vigilantes per controllare il cantiere.

Il progetto prevede 6.055 posti per spettatori paganti. Il valore dell’opera, nel bando, era stimato in quasi 29 milioni di euro, con un finanziamento pubblico di 18 milioni e mezzo, la parte restante a carico del concessionario. Per i primi cinque anni il costo della gestione era stimato in 10 milioni di euro, di cui 7 con contributo pubblico. Nei successivi 42 anni gli oneri di gestione andavano a carico del concessionario. Secondo la convenzione siglata con la ditta, al concessionario è già stato pagato il 30 per cento del valore. L’idea di un velodromo a Treviso è sempre stata tribolata. Fu formulata per la prima volta nel 1985 e si è scontrata con mancanza di fondi, anche se l’area era stata individuata. Nel 2016 la situazione si è sbloccata. Ma il project financing è caduto molto prima che potesse tagliare il traguardo.

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