Pregiudizi, mancanza di assistenza adeguata, sostegno scolastico insufficiente e strumenti di inclusione sociale inadeguati. Questa è la situazione in cui si trova chi ha un familiare con disturbi dello spettro autistico, una sindrome che colpisce tra le 300mila e il mezzo milione di persone in Italia. Il dato esatto finora non è stato certificato da nessun ente o associazione perché non tutti i casi, soprattutto i meno gravi, vengono diagnosticati. Non esiste un Registro nazionale delle persone con la sindrome né un Osservatorio che consenta di programmare interventi e servizi utili a sostenere le famiglie. Così si arriva a casi di cronaca drammatici come quello, reso pubblico la settimana scorsa dagli operatori della Casa Sebastiano di Fondazione Trentino autismo, del bambino affidato al Tribunale dei minori perché i genitori non riuscivano più a occuparsene. “I genitori sono stati costretti ad allontanarsi dal figlio minorenne perché non sono stati aiutati e affiancati nella difficile battaglia di crescere un figlio a cui è stato diagnosticato l’autismo”, ha denunciato la struttura della Val di Non.

“La nascita di un figlio autistico rappresenta per una famiglia uno tsunami di dimensioni incomprensibili a chi non conosce questo mondo”, dice al Fattoquotidiano.it Toni Nocchetti, presidente di Tutti a scuola onlus, divenuto punto di riferimento nazionale a difesa dei disabili, con un’attenzione particolare rivolta alle persone con autismo. “A nulla servono i proclami e le buone intenzioni della politica se non seguite dai fatti. La prima esigenza di una famiglia che scopre di avere un figlio “speciale” è di sentirsi assistita, guidata, protetta da una rete di servizi che un paese come l’Italia dovrebbe offrire, ma non è cosi. E’ indispensabile sostenere in primis i genitori che saranno alle prese con un figlio che rimarrà probabilmente un bambino da proteggere tutta la vita”.

Nei fatti, però, “la scuola, fondamentale sentinella della comunità civile, per un autistico diventa spesso un terribile ostacolo ai progressi che egli potrebbe fare. Scarsa o assente preparazione dei docenti, oltre che esigue risorse a disposizione rappresentano il corollario del percorso scolastico della maggioranza degli studenti autistici. Terminata, spesso bruscamente interrotta, la scuola per le famiglie si apre una voragine profonda di solitudine” aggiunge Nocchetti. “Poi ci sono le rituali celebrazioni della Giornata mondiale sull’autismo (il 2 aprile, ndr) colorate di blu o le ipocrite dichiarazioni dei politici di turno. Nel frattempo un Paese che ogni anno trova logico spendere miliardi di euro per i video poker e le lotterie non trova le risorse necessarie per interventi a sostegno delle famiglie. Slogan e promesse che farebbero invidia a Pinocchio tante, fatti zero”.

Dunque cosa accade in concreto una volta ricevuta la diagnosi di autismo? “Ad oggi in Italia occorrono almeno 2 anni di attesa per ottenere una diagnosi di questa sindrome e se non hai abbastanza soldi per pagare terapie private ti devi accontentare, se va bene, di una decina di ore di logopedia e psicomotricità al mese”. A dirlo al Fatto.it è Fabrizia Rondelli, presidentessa dell’associazione L’Ortica di Milano e madre di un ragazzo 24enne che ha ricevuto una diagnosi di autismo di medio funzionamento. Secondo Rondelli in Italia non ci sono le condizioni adeguate per crescere un figlio che a volte non parla, ha comportamenti bizzarri, non si sa adeguare ai contesti in cui si trova, ha difficoltà di relazione e scappa senza un motivo oppure resta chiuso nella sua stanza per intere giornate. “E’ una situazione estremamente complessa in cui spesso le famiglie provano senso di vuoto, impotenza, vergogna e di emarginazione. Molte volte anche i parenti sono inesistenti e gli amici sempre meno. Ti senti quasi lasciato in disparte e non incluso nella società, non tutelato neanche dallo Stato che invece dovrebbe aiutare i cittadini più bisognosi”.

Fabrizia si dice “turbata” dalla vicenda di Trento, soprattutto perché il bambino si trova ora senza più i riferimenti affettivi più importanti, lontano dalle cose che conosceva meglio e che gli potevano dare maggiore sicurezza. Ma vuole anche sottolineare lo grave situazione di quasi abbandono completo in cui vivono le famiglie: “Spesso i genitori rinunciano a lavorare per occuparsi del figlio con autismo, per seguire le pratiche scolastiche, per accompagnarlo alle terapie e seguirlo in tutti i suoi percorsi di crescita”, spiega. “I genitori si ritrovano a non avere più la propria vita e non trovano nemmeno le parole per spiegare che cosa sta accadendo. Così purtroppo succede che qualcuno getti la spugna per tornare alla “normalità”. Anche se la loro vita non sarà più la stessa”.

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