Quando nel 2003 è stato saccheggiato il Museo di Baghdad, in Iraq, Licia ha fatto una promessa a se stessa: tornare il prima possibile e dare il suo piccolo contributo a quel Paese. “In effetti sono stata fortunata – ricorda –. Nel febbraio del 2012 ci siamo recati a Nassiriya per la prima campagna della Sapienza ad Abu Tbeirah. Le ultime truppe straniere avevano infatti lasciato il Paese agli inizi di dicembre e abbiamo finalmente ripreso le attività archeologiche”.

Licia Romano è nata a Catania e ha 36 anni. Dal 2011, a soli 27 anni, è diventata responsabile della direzione sul campo della missione italo-irachena ad Abu Tbeirah, sito archeologico di massima importanza per il Paese. Con il suo team, Licia ha portato alla luce una città Sumerica e un porto del III millennio avanti Cristo, che consentirà di scrivere un nuovo capitolo della storia della Mesopotamia e della sua civiltà, superando “l’immaginario comune che identifica le antiche città mesopotamiche attorniate da distese di campi di cerali, irrigati da canali artificiali”.

Prima di arrivare in Iraq Licia ha passato 7 anni allo scavo di Ebla, in Siria. “Ho sempre desiderato fare l’archeologa e occuparmi di Vicino Oriente”. Reazioni? “Amici e parenti hanno condiviso e supportato la mia passione”, sorride. Ma com’è la vita di un archeologo che trascorre interi mesi all’estero sul campo? “È scandita da ritmi piuttosto serrati – racconta –. Durante la campagna di scavo la sveglia è fissata alle 4 del mattino. Alle 5 la scorta della polizia archeologica irachena arriva a casa-missione, che si trova nel Parco Archeologico di Ur (la città dove secondo la Bibbia nacque Abramo, ndr) e ci rechiamo sul sito, alla periferia di Nassiriya. Verso le 20 si cena tutti insieme e dopo qualche chiacchiera si va a letto, nel tentativo di guadagnare un buon numero di ore di sonno”, continua.

Difficoltà? “Nei primi anni di scavo l’immagine negativa che si aveva dell’Iraq, che appariva come un Paese in guerra e non in fase di rinascita – spiega Licia –. Con la nostra missione abbiamo voluto raccontare un Paese diverso, dove non solo è possibile lavorare, ma soprattutto dove il clima di collaborazione con i colleghi e i locali è più che sereno”. Nel 2012, ad esempio, c’erano solo due missioni archeologiche attive nel sud dell’Iraq, mentre oggi ho perso il conto”, continua. Le scoperte sono sempre più numerose e dal 2019, durante la campagna di scavo “abbiamo avuto in visita i primi pullman di turisti europei e americani”.

Lavorare a stretto contatto con colleghi e collaboratori iracheni insomma ha agevolato enormemente il compito di Licia: “L’Iraq è tra i Paesi al mondo più aperti nei confronti degli stranieri, come confermano gli incontri e le relazioni che ho avuto l’opportunità di intessere in questi anni – aggiunge –. Abbiamo condiviso gioie, matrimoni, nascite e sono stata al loro fianco anche nel dolore della perdita di un caro”.

Differenze tra Italia e Iraq? “Spesso mi viene da pensare a tutti i problemi che sembrano insormontabili in Italia e che improvvisamente diventano piccolissimi di fronte a quanto gli iracheni hanno affrontato e affrontano quotidianamente. La forza con cui il nuovo Iraq e soprattutto i suoi giovani stanno lottando per far rinascere il Paese non può che essere d’ispirazione per noi italiani”. Licia ha un forte legame col suo Paese d’origine: “Sono e mi sento di certo italiana: sono cresciuta e vissuta in Italia, l’Italia e la Sapienza mi hanno permesso di portare avanti il mio sogno lavorativo e di ricerca. Ma devo ammettere di sentirmi soprattutto europea”.

Su un punto in particolare Licia ci tiene a dire la sua. “Sulla base della mia esperienza penso che fare ricerca in Italia sia assolutamente possibile. Allo stesso tempo, però, non posso negare che ci siano situazioni complesse e che si possa essere forzati a cercare il proprio percorso scientifico altrove”.

Il futuro? Licia continua: “Io sono una precaria della ricerca. Ho avuto la fortuna di studiare e fare ricerca nel mio ateneo, la Sapienza, che è primo al mondo per gli studi classici e la storia antica. Non nascondo quindi che mi piacerebbe continuare qui. Eppure non avrei problemi ad andare all’estero. L’importante è che, a parità di qualità della ricerca, si valutino in modo equivalente sia i cervelli italiani in fuga sia quelli rimasti in patria. Esistiamo anche noi”, precisa. Per Licia la realtà è sempre “più variegata di quello che presentano i mass media. Del resto – conclude – quando i miei colleghi e amici iracheni hanno scoperto le mie origini siciliane, la prima cosa che mi hanno chiesto è stata: ‘Ma non hai paura della mafia?’”.

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