Stato di emergenza, massima allerta in Egitto e al Cairo dopo la morte di Mohamed Morsi, il leader dei Fratelli Musulmani, stroncato lunedì da un malore durante un’udienza in tribunale. Chi si aspettava però una città sotto assedio da parte dei militari al servizio del presidente Abdel Fattah al-Sisi dovrà ricredersi. La scomparsa del nemico pubblico numero uno del regime, per ora, è stata anestetizzata. Al Cairo la vita scorre secondo i canoni della normalità, l’unica differenza qualche negozio con le saracinesche abbassate in più e una presenza più massiccia agli incrocia delle strade, specie a Downtown e nei quartieri dove il richiamo della Fratellanza è più forte.

Le forze di sicurezza non si comportano in maniera diversa da ieri mattina: i personaggi scomodi vengono fermati, arrestati, scompaiono nel nulla o vengono ritrovati in una stazione di polizia o nel carcere di Tora, alla periferia sud della capitale. Lo stesso dove Morsi ha trascorso la sua prigionia dal 2013. In carcere per una lunga lista di accuse, Morsi è riuscito a schivare la pena di morte, trasformata in ergastolo. Morte sopraggiunta per “cause naturali“, così sostengono le autorità competenti, anche se l’opinione pubblica internazionale chiede che sul decesso di Morsi venga avviata un’indagine imparziale e trasparente: “Le autorità egiziane avevano la responsabilità di assicurare che, in quanto detenuto, Morsi avesse accesso a cure mediche adeguate. Vogliamo sapere di più sulle cause della sua fine, se è stata fatta un’autopsia approfondita, sulle condizioni detentive dell’ex presidente e sulla possibilità di avere accesso alle cure mediche”, ha commentato Magdalena Mughrabi, vicedirettore per l’Africa del Nord e il Medio Oriente di Amnesty International”.

Tutto come prima, nessuna novità di rilievo, nessuna marcia o protesta organizzate dalla Fratellanza. Il governo non ha perso tempo e poche ore dopo l’annuncio della morte ha subito provveduto a seppellire le spoglie del primo presidente democraticamente eletto in Egitto negli ultimi trent’anni. Prima la messa, a notte fonda, quindi la sepoltura, terminata verso le 5 di stamattina alla periferia est del Cairo. Morsi riposerà nella parte ‘povera’ della ‘Città dei morti’, un’enorme area trasformata in cimitero nella zona di Nasr City. La sua tomba a fianco a quella di Mahdy Akef, storica guida politica della Fratellanza Musulmana. Una sepoltura rapida e portata a termine con imponenti misure di sicurezza.

Nessun giornalista ha potuto seguire l’evento: “E’ avvenuto tutto in segreto, non hanno fatto avvicinare nessuno, neanche al funerale, celebrato in gran fretta nella moschea del carcere di Tora”, conferma Abdul Moneim Abdel Maqsoud, uno degli avvocati della famiglia Morsi. Presente solo uno dei figli di Morsi, Ahmed, il quale ha accusato i servizi di sicurezza di aver impedito che la sepoltura avvenisse nel cimitero di Sharquia, la cittadina dell’Egitto orientale dove Morsi era nato 67 anni fa.

L’atmosfera di adrenalina pura dopo la morte dell’ex leader della Fratellanza è impalpabile. La redazione del giornale online Mada Masr, uno dei più noti in Egitto e in forte opposizione al regime di al-Sisi, è in fibrillazione: “La morte di Mohamed Morsi cambierà gli scenari – spiega Lina Attalah, la giovane direttrice della redazione che conta 30 giornalisti, tutti sotto i 40 anni – ma non pensare che oggi, domani o nei prossimi giorni succeda qualcosa di simile a quanto accaduto nel gennaio del 2011, dal movimento di piazza Tahrir. Il potere del presidente al-Sisi non è mai stato così saldo e incontrastato. Nessuno alzerà la testa, nessuno uscirà in strada per protestare o organizzerà attacchi. I servizi di sicurezza lunedì sera hanno subito preso il controllo della situazione ed evitato qualsiasi problema. Al-Sisi è così popolare nella sua versione di politica estera, così come impopolare per gli affari domestici. La crisi economica, il maxi-debito con il Fondo Monetario (12 miliardi di dollari prestati nel 2017 all’Egitto, ndr), i prezzi alle stelle e una popolazione costretta alla fame. Su questo il presidente avrà dei problemi”.

Mada Masr, per la sua linea autonoma ed indipendente che spesso l’ha portata a criticare l’operato del leader salito al potere con un Colpo di Stato nell’estate del 2013, sta pagando un duro prezzo: “Nel 2017 il governo ha bloccato il nostro sito di notizie, oscurandoci in pratica – aggiunge Attalah – ed è stata dura resistere. Con calma ci siamo rimessi al lavoro cercando di bypassare questo embargo, in parte riuscendoci. Attraverso link alternativi sui social media riusciamo a raggiungere i nostri lettori e, di conseguenza, a stimolare i finanziatori per la pubblicità e gli abbonamenti. Un giornale non vive di sola passione, intanto posso andare fiera di non aver dovuto licenziare neppure un collaboratore”.

Mada Masr ha dato grande risalto, ovviamente, alla scomparsa di Mohamed Morsi. Non è stato così per tutti i principali giornali ‘politicamente corretti’. Nessuno ieri ha dedicato alla notizia più di un pezzo in taglio basso, con titolo a poche colonne, come se si trattasse di un normale sconosciuto deceduto a causa di un incidente stradale. La maggior parte non ha neppure ricordato il ruolo di presidente dell’Egitto, posizione che Morsi ha occupato per un anno prima di essere arrestato dal suo ministro della Difesa, oggi a capo del Paese.

La politica, il poco che ne resta in Egitto, esprime il suo stupore a proposito della morte di Mohamed Morsi. Tra loro George Ishaq, storico leader del movimento Kefaya, ‘Abbastanza’, grande oppositore dell’ex presidente Hosni Mubarak, e leader del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani: “Mi è capitato spesso di criticare i Fratelli Musulmani, la loro politica, perché penso siano stati responsabili di molti errori durante il periodo della presidenza dopo le elezioni del 2012. Detto questo, quanto accaduto a Morsi è scioccante e noi siamo a disposizione per collaborare alla ricostruzione della verità attorno al suo decesso. Nessuno merita una fine del genere, marcire in cella e morire in un’aula di giustizia, senza aver ricevuto le cure adeguate, senza consentire le visite ai famigliari, seppellendo i suoi resti a proprio piacimento. Questa non è democrazia. Il problema è che nelle prigioni egiziane non c’era solo Morsi, scontano le loro pene personaggi famosi, come il generale Sami Anan, il suo vice Hicham Geneina e altri, ma soprattutto tanti egiziani comuni. Nessuna reazione al Cairo e in Egitto? Cosa si aspettava, il governo ha pensato a tutto. Non è mai stato così forte”.

Nulla cambia, tutto cambia. Ne è convinto Maaty Elsandouby, esperto ed apprezzato giornalista anti-Sisi, scappato nel 2017 dopo le minacce nei suoi confronti e il rischio di finire in prigione. Da allora, a parte una parentesi a Istanbul, Elsandouby vive e lavora a Roma. La sua analisi del post-Morsi è molto interessante: “La scomparsa dell’ex leader dei Fratelli Musulmani libererà la strada ad un accordo tra la Fratellanza e il resto dell’opposizione interna al regime, compresi i movimenti laici di sinistra. Con Morsi in vita e, seppur in prigione a vita, operativo e guida suprema della Fratellanza, nulla poteva accadere. Per anni, dal 2013 fino a ieri sera, ho sognato che lui, dalla sua cella, annunciasse di voler tornare, un giorno alla guida dell’Egitto, insomma che si facesse da parte. Quel discorso non l’ha mai fatto. Ora vediamo se le cose cambieranno, io ne sono convinto. Certo, non doveva finire così”.

Morsi è uno dei 739 imputati per i fatti di piazza Raba’a, datata 14 agosto 2013. Quel giorno almeno 800 manifestanti, tutti appartenenti alla Fratellanza Musulmana, si erano ritrovati in quel luogo per protestare contro il golpe di al-Sisi, quando i militari aprirono il fuoco. Oltre alle vittime, il regime ha arrestato centinaia di affiliati. Di questi 75 rischiano la pena di morte, 47 l’ergastolo, 374 una pena a 15 anni e 215 una pena a 5 anni: “Sarà l’Alta Corte del Cairo a decidere su di loro – spiega Karim Abdelrady, difensore di una parte degli imputati, tra cui il fotoreporter Mahmoud Abou Zeid, noto come ‘Shawkan’ – In attesa della decisione restano in carcere, come Morsi. Io sono un rappresentante della società civile, non ho bandiere, difendo i diritti umani e le persone, che siano Fratelli Musulmani o gente comune. Non ho nulla a che vedere con la Fratellanza, anzi, l’ho sempre osteggiata, ma quanto è accaduto quel giorno in piazza Raba’a e in altre piazze della città è un crimine contro l’umanità, qualcuno ne dovrà rispondere. Forse non accadrà subito, ma un giorno, magari non troppo lontano”.

Abdelrady è un giovane avvocato e fa parte di una squadra di legali orientati verso la difesa dei diritti civili e dei casi ‘politici’: “Siamo una cinquantina in Egitto e ci battiamo senza paura contro la violenza del regime – aggiunge – Non è facile essere un avvocato scomodo in Egitto. Ogni volta che rientro nel mio Paese dopo un viaggio di lavoro all’estero, per denunciare quanto accade qui, penso che mi possano arrestare. Sì, ho paura, per la mia famiglia in primis, ma non intendo mollare”.

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