Sepolto alle prime luci dell’alba, alle 5 del mattino, di nascosto, alla sola presenza dei familiari più stretti e dei legali. Nessuno dei suoi amici, sostenitori politici o membri dei Fratelli Musulmani ha potuto partecipare ai funerali dell’ex presidente egiziano, Mohamed Morsi, morto lunedì in seguito a un malore dopo un intervento di 25 minuti nell’aula di tribunale dove si stava tenendo uno dei tanti processi a suo carico, dopo la destituzione nel luglio 2013 ad opera di Abdel Fattah al-Sisi. La decisione del governo, che alla notizia del decesso ha dichiarato lo stato di massima allerta al Cairo, è legata a motivi di sicurezza, visto il ruolo politico ricoperto dall’ex leader della Fratellanza, anche se delle celebrazioni nei confronti del presidente destituito non avrebbero giovato all’immagine del generale al-Sisi. 

Ma a quel funerale, che si è tenuto a Nasr City, quartiere orientale della capitale, tra rigide misure di sicurezza e alla presenza del fratello, della moglie, del figlio e dei suoi due avvocati, probabilmente avrebbero partecipato in pochi. Anche nel caso in cui il governo avesse deciso di accontentare le richieste della famiglia di tenere funerali pubblici nella sua città natale, nel governatorato di Sharqiyya. Perché nell’Egitto di al-Sisi i Fratelli Musulmani sono stati dichiarati organizzazione terroristica e messi fuori legge, incarcerati e torturati. Molti di loro sono fuggiti dall’Egitto, cercando rifugio in Paesi amici, come il Qatar o la Turchia. Scendere in strada per rendere omaggio a colui che per due anni ha rappresentato la Fratellanza al potere nel Paese, un traditore della patria secondo l’attuale governo, avrebbe significato finire nella lista nera dell’intelligence egiziana.

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