Al secondo turno per la prima volta dal dopoguerra per 711 preferenze mancate. Rischia di cadere così una delle ultime roccaforti rosse dell’Emilia Romagna. A Reggio Emilia, dal 1945 a oggi, sono passati quattro sindaci comunisti, uno del Pds-Ds e due, gli ultimi, della nuova era del Partito democratico. Il primo, l’ex ministro dei Trasporti Graziano Delrio, primo dei renziani in terra emiliana, fu capace di costruirsi una brillante carriera politica dopo 10 anni alla guida della Città del Tricolore. Ora invece il suo successore e delfino Luca Vecchi, a caccia del secondo mandato, è appeso alla lotteria del ballottaggio. Al primo turno ha mancato l’elezione per poche centinaia di voti, fermandosi al 49,13%, e adesso la città rischia un clamoroso ribaltone. Il distacco con il candidato del centrodestra, il leghista Roberto Salati, è ancora netto, segno di un profilo debole e poco gradito dagli stessi elettori della sua area. Ma la vera incognita in vista del secondo turno sono i 14mila voti raccolti dai 5 stelle, decisivi per scegliere il sindaco di una città ricca e aperta, che però si è scoperta terra di infiltrazione della ‘ndrangheta con il maxi-processo Aemilia. Proprio la moglie del primo cittadino uscente, Maria Sergio (che non è mai stata coinvolta nel processo), è stata chiamata in causa in alcune udienze per le parentele con uno degli imputati.

I numeri dicono che per il Comune il Pd, da solo, ha ottenuto quasi il 40%. Un risultato significativo, se confrontato con quello nazionale e locale: in Emilia Romagna, per le Europee, Zingaretti e compagni hanno ottenuto il 31%, superati per la prima volta dalla Lega, che è diventato il primo partito e alle regionali di novembre punta forte alla presidenza. Ma in questa città, dove il Partito comunista è stato maggioranza assoluta per decenni, il centrosinistra sotto la soglia psicologica del 50% è qualcosa di allarmante per molti. Il risultato arriva dopo anni difficili per il sindaco: oltre all’inchiesta Aemilia, l’amministrazione ha dovuto affrontare i segni profondi della crisi economica, che ha colpito e costretto alla chiusura decine di piccole aziende del territorio e amplificato la precarietà del lavoro, nonostante le esportazione e i risparmi siano aumentati in termini assoluti dal 2009 al 2018. La campagna elettorale è stata fatta con il simbolo del Partito democratico quasi nascosto, a favore di una immagine più civica che ha messo in mostra gli innegabili successi amministrativi: l’apertura di un nuovo centro oncoematologico, il recupero della grande area industriale dismessa delle ex Officine Reggiane e l’uso della stazione Mediopadana, unica fermata dell’Alta velocità fra Bologna e Milano, eredità delle giunte Delrio. Una strategia che però non ha impedito l’emorragia di voti: rispetto al 2014 il Pd ne ha persi quasi 10mila, solo in parte assorbiti dalle liste che appoggiavano Vecchi e che gli hanno portato il 10% dei consensi. Poco o niente è andato alla sinistra radicale, ridotta al 2,5%, mentre sembra essersi fermato qual travaso di consenso verso i Cinquestelle, che alle solite difficoltà locali hanno unito un pessimo trend nazionale e sono scesi al 14,7%.

Quello che potrebbe avere inciso è l’affluenza, calata del 3,5% rispetto al 2014. Una perdita di affetto politico che il Pd ha pagato solo in parte: la coalizione di centrodestra, nonostante il clima favorevole in tutto il paese, si è fermata al 28%. Anche qui il traino è tutto della Lega (21), che a Reggio aveva avuto un exploit già nel 2009, quando aveva ancora il Nord nel nome e raggiunse da sola il 16%. Ma il risultato questa volta poteva essere decisamente migliore: in cabina, al momento di mettere il segno sulla scheda per l’elezione degli eurodeputati, i reggiani che hanno scelto Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono stati il 35%. Una discrepanza riconducibile soprattutto alla scelta del candidato sindaco, Roberto Salati, piccolo imprenditore totalmente estraneo alla politica, voluto personalmente dal deputato reggiano del Carroccio Gianluca Vinci. Salati non è emerso come un candidato forte in grado di sfruttare la scia del grande consenso di cui gode quasi ovunque in questo momento la Lega e in particolare Matteo Salvini, accolto trionfalmente a Reggio due settimane prima del voto. Il centrodestra ha puntato la campagna elettorale locale sui temi della sicurezza e dei problemi del centro storico utilizzando le stesse ricette di sempre, riuscendo in realtà a intercettare consensi sul tema di un cambiamento in consiglio comunale che dopo 75 anni sembra aver fatto presa sui reggiani.

Nonostante gli errori e la mancanza di una classe dirigente locale, il centrodestra è riuscito a raggiungere il suo obiettivo minimo: giocarsi al ballottaggio la guida di una delle ultime città rosse d’Italia. Per farlo dovrà innanzitutto convincere quei 5600 reggiani che alle Europee lo hanno scelto e per il Comune no. Salati poi può sicuramente contare su quel 5,5% ottenuto al primo turno dalla lista civica di Cinzia Rubertelli, che raccoglie anche ex esponenti della Lega Nord locale. Già con questi due pacchetti di voti, la distanza con Vecchi sarebbe ridotta a una manciata di punti percentuali. Al sindaco uscente, per essere rieletto, potrebbero anche bastare le poche preferenze che al primo turno sono andate alla sinistra, ma molto dipenderà dall’affluenza. Anche il Pd dovrà infatti riportare ai seggi tutti i suoi elettori in questo ballottaggio storico e probabilmente lo farà senza una chiamata alle armi contro la destra, che non è nelle corde dell’attuale amministrazione. Rimane l’incognita decisiva dei Cinquestelle, con la candidata sindaco Rossella Ognibene che ha già fatto sapere di non voler dare indicazioni di voto. Di certo non una dichiarazione che avrebbe fatto chi vede il nemico alle porte, e che rende ancora più credibile l’ipotesi di un testa a testa per la conquista di Reggio.

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