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Perché non lo hanno ammazzato a Roma? - 2/9

Nonostante le sentenze abbiano condannato più di venti mafiosi, sull'attentato del 23 maggio 1992 restano ancora molte ombre. Buchi neri, dettagli mai chiariti, piste mai battute. E poi fantasmi che compaiono e scompaiono sullo sfondo del cratere aperto dall'esplosivo sull'autostrada tra Palermo e Capaci. Già, l'esplosivo: che tipo di esplosivo? E perché Riina non fa uccidere il giudice a Roma, dove girava spesso senza scorta? E ancora: c'era davvero una donna sul luogo della strage?
Perché non lo hanno ammazzato a Roma? - 2/9
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Perché non lo hanno ammazzato a Roma?

La domanda numero uno rimane sempre la stessa: perché Cosa nostra decise di assassinare Falcone a Capaci? E con quelle modalità spettacolari? Il giudice poteva essere facilmente ammazzato a Roma, dove spesso girava a piedi e a volte persino senza scorta. E infatti Totò Riina aveva inviato nella Capitale un commando di morte fatto di uomini scelti: Matteo Messina Denaro, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Lorenzo Tinnirello e Fifetto Cannella. Dovevano ammazzarlo per strada a colpi di kalashnikov. “Noi avevamo un’indicazione per cercare Falcone che frequentava un ristorante che si chiamava Amatriciana ed invece il ristorante era Il Carbonaro“, ha raccontato lo stesso Sinacori. Un banale errore di ristorante, dunque, ritarda l’agguato mortale per il magistrato del Maxiprocesso. A un certo punto, però, arriva il contrordine: “Riina – ha ricordato Sinacori – mi disse di tornare giù perché aveva trovato una soluzione migliore. Sono tornato a Roma e ho spiegato a Matteo la situazione”. Un altro superpentito, Gaspare Spatuzza, ha definito quel “cambio di programma” con queste parole: “La genesi di tutto è quando si decise di non uccidere più Falcone a Roma con quelle modalità e si torna in Sicilia: lì cambia tutto e poi non c’è solo mafia”. In che senso poi non c’è solo mafia?

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