Lo scorso ottobre a New York sono stati venduti in blocco 21 appartamenti a Battery Park, Manhattan. Un affare da quasi 14 milioni di dollari, condotto da Andrea Pedicini, broker italiano, 36 anni, da più di 9 nella Grande Mela. È stato definito da molti una delle transazioni residenziali più importanti del 2018. “La mia però non è stata una fuga dall’Italia – racconta Andrea – Il nostro è un Paese meraviglioso ma, ahimè, non offre ancora un contesto di business premiante. Anzi, fare business è difficile e frustrante”.

Andrea è nato a Pordenone e vive a New York dal 2010. Dopo la laurea con lode in Economia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel 2006 ha iniziato la sua carriera professionale in una multinazionale della consulenza e revisione contabile. Nel 2010 è arrivato a New York per diventare business development manager di una società del settore immobiliare. “Quando ti trasferisci in una città come New York senza conoscere nessuno la difficoltà più grande è quella di trovare dei punti di riferimento nel più breve tempo possibile: un gruppo di persone e amici con cui condividere il tuo percorso – ricorda –. New York vive di relazioni sociali ed è fondamentale inserirsi in questo contesto quanto prima per coglierne tutte le opportunità”.

La vita di Andrea è cambiata tre anni fa, con la nascita di suo figlio. “Diciamo che rispetto a prima le mie giornate oggi dipendono molto da lui – sorride –. Io e mia moglie lavoriamo e né la mia famiglia né la sua si trovano a New York”. Sveglia sempre prima delle 7, colazione in famiglia, figlio all’asilo e inizio degli appuntamenti di lavoro, “che possono essere tanti, specie quando in città ci sono uno o più clienti dall’Italia”. Per questioni logistiche, dovendo spesso essere in molti posti diversi nel corso della stesa giornata, il 36enne friulano si sposta in vespa. “In ufficio non passo molto tempo: il mio lavoro si fa prevalentemente fuori, incontrando clienti, colleghi e costruttori”. Andrea vanta una clientela internazionale, composta però principalmente da investitori italiani: attori, atleti, imprenditori. “Qui se si presenta sul mercato l’offerta giusta riusciamo a chiudere la transazione in 30-45 giorni”.

Ci sono certamente dei vantaggi economici rispetto all’Italia, anche al netto del costo della vita, “che a New York è decisamente alto”. La differenza principale, però, è data dalla possibilità di raggiungere traguardi che possono cambiarti la vita. “Gli Stati Uniti, un Paese tutt’altro che perfetto, con sociali enormi, sono però riusciti a costituire un sistema in cui l’ascensore sociale funziona. Da questo punto di vista l’Italia è invece ingessata, addirittura ultima tra i Paesi industrializzati, ed è una tragedia perché in questo modo non si costruisce nessuna solida prospettiva per il futuro”. Obiettivi? Per ora Andrea non pensa di tornare. Anzi. “Vorrei diventare sempre più un punto di riferimento per la comunità di investitori italiani che guardano al settore immobiliare di New York”, dice. Da un punto di vista personale, invece, Andrea punta ad allargare la famiglia: “Le soddisfazioni che danno i figli sono uniche e giustificano qualunque sacrificio”.

E l’Italia? Più che migrante Andrea si sente cittadino del mondo. “La mia generazione è portatrice di una cultura che travalica i confini nazionali, le barriere linguistiche e più in generale i pregiudizi tipici, invece, delle generazioni che ci hanno preceduto”, spiega. L’Italia è vista con un senso di grande frustrazione. “Siamo un Paese meraviglioso, con un potenziale enorme, che da decenni non riusciamo più ad esprimere. Siamo addirittura entrati in recessione tecnica, senza di fatto mai esserci del tutto ripresi dalla crisi del 2008. Una vergogna, con responsabilità politiche diffuse da destra a sinistra, visto che negli ultimi anni si sono alternati governi di tutti i colori”.

Cosa cambierebbe Andrea nel suo Paese? In primis, con più attenzione all’occupazione giovanile, tra le più basse in Europa. Ma anche interventi più strutturali, come esami in lingua inglese all’università, programmi specifici di collaborazione col mondo del lavoro, sistema di collocamento al lavoro tecnologicamente avanzato ed efficiente. “Un Paese che non coltiva le nuove generazioni – conclude Andrea – è un Paese destinato a morire”.

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