Mentre Matteo Salvini e la ministra M5s Elisabetta Trenta si preparavano all’ennesimo scontro, il premier Giuseppe Conte è intervenuto con un blitz per sbloccare il caso dei 36 migranti salvati dalla Marina militare italiana ieri (9 maggio) a 75km dalla Libia. L’imbarcazione è arrivata alle 11.30 al porto di Augusta e, stando a quanto annunciato e concordato dal presidente del Consiglio, i 36 migranti a bordo saranno redistribuiti in quattro Paesi Ue: Francia, Malta, Lussemburgo e Germania. Diversa la sorte invece per la Mare Jonio, nave della ong Mediterranea con a bordo 40 migranti: arrivata a Lampedusa, è stata sequestrata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Se infatti da una parte bloccare una nave della Marina militare avrebbe aperto l’ennesimo fronte interno, con la Difesa pronta a difendere il proprio equipaggio, dall’altra il governo rimane compatto nel cercare di bloccare le imbarcazioni delle associazioni umanitarie. Anche i migranti della Mare Jonio però saranno fatti scendere.

L’intervento del premier, arrivato mentre stava partecipando al vertice informale Ue in Romania, non era mai stato così tempestivo ed è destinato a lasciare traccia nei rapporti di equilibrio interni tra i vicepremier. L’obiettivo era quello di evitare a tutti i costi un nuovo caso Diciotti, la nave della Guardia Costiera che la scorsa estate rimase 10 giorni in mare prima di poter approdare a Catania. Per quella vicenda Salvini è finito indagato con l’accusa di sequestro di persona e il tribunale dei ministri ha chiesto di poterlo processare ma il Senato, con il via libera dei 5 stelle, ha negato l’autorizzazione a procedere.

Tace per il momento nel merito il leader della Lega, mentre esulta il vicepremier M5s Luigi Di Maio che ha deciso di approfittarne per marcare la differenza con i  soci di governo: “Senza urlare o sbraitare, senza minacce al mondo, in poche ore, grazie soprattutto al lavoro del presidente Conte, siamo riusciti a salvare la vita a quelle persone e a fare in modo però che ad occuparsene non fosse nuovamente l’Italia, ma l’Europa”, ha scritto su Facebook. E ha continuato: “La giornata di ieri mi auguro faccia riflettere qualcuno. Se quando nasce un problema il tuo primo pensiero non è risolverlo, ma finire sui giornali, allora c’è qualcosa che non va. In un governo ci si siede al tavolo tutti insieme e si lavora. Per il Paese. Questo ci chiedono gli italiani”.

La ministra M5s Trenta: “Con Salvini è battaglia quotidiana” – Tra i fronti aperti, rimane quello tra la titolare della Difesa e il ministro dell’Interno. Prima dell’intervento di Conte infatti, i due esponenti del governo avevano già iniziato ad attaccarsi a distanza. “Ormai è una battaglia quotidiana, ma tra due settimane ci sono le Europee e Salvini è in piena campagna elettorale”, ha detto la Trenta in un colloquio con il Corriere della sera. “Per lui ogni pretesto è buono per attaccarmi. Sinceramente credo che non valga nemmeno la pena rispondere”. Per la Trenta inaccettabile è stato il tentativo del titolare del Viminale di attaccare la Marina dopo l’operazione dei salvataggio al largo della Libia: “Finché lo fa contro di me è tutto secondo copione“, ha continuato. “Ma non pensi di poter attaccare i militari e, nel caso specifico, la Marina. Si tratta di servitori dello Stato che fanno ogni giorno il proprio dovere e io non consentirò a nessuno di offendere il loro lavoro. Salvini si è chiesto come mai il governo non marcia unito. Ebbene io girerei a lui la stessa domanda, proprio perché sono convinta che spetti ai politici fare da scudo ai funzionari dello Stato, così come ai militari e alle forze dell’ordine”. Le tensioni tra la Trenta e Salvini vanno avanti da molte settimane e più volte si sono attaccati direttamente.

Salvini aveva detto: “Io porti non ne do” – Lo scontro è iniziato il 9 maggio. Poco dopo la notizia del salvataggio, Salvini ha dichiarato: “Io porti non ne do. O si lavora tutti nella stessa direzione o non può esservi un ministro dell’Interno che chiude i porti e qualcun altro che raccoglie i migranti”. Una posizione che però poi il titolare del Viminale è stato costretto a smorzare nel corso della giornata: “Un conto è la nave dei centri sociali”, ha detto, “e un conto è una nave della Marina, che attraverso il suo ministro di riferimento si assumerà le proprie responsabilità”. Ieri la diretta interessata, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, non ha replicato direttamente e si è limitata a far trapelare la “massima fiducia” nell’operato della Marina, precisando che da parte sua non c’è stata alcuna indicazione particolare.

Silenzio in una prima fase anche dai 5 stelle. “Non vogliamo fornire a Salvini alcun pretesto” era la risposta diffusa da fonti del Movimento. Il leader della Lega criticava anche un altro aspetto dall’operazione di salvataggio, ovvero il fatto che l’intervento della Marina si sia verificato “in acque libiche, peraltro pattugliate dalla Guardia Costiera libica che ieri in pieno Ramadan ha soccorso salvato e portato indietro più di 200 immigrati”, ha detto. In realtà, proprio la nota ufficiale della Marina, diceva una cosa diversa: 75 chilometri dalla costa (il luogo dove è avvenuto il salvataggio) sono, infatti, circa 40 miglia nautiche, dunque ben al di fuori delle 12 miglia che corrispondono alle acque territoriali. L’imbarcazione era quindi in acque internazionali, dove era anche la Cigala Fulgosi, anche se in una zona che ricade sotto l’area Sar libica. E cosa ci facesse lì il pattugliatore era stata sempre la Marina a spiegarlo: “Attività di presenza, sorveglianza e deterrenza, anche in ragione all’attuale situazione di sicurezza presente in Libia”. In sostanza, era lì a proteggere a distanza nave Capri, che nel porto di Tripoli fornisce assistenza tecnico-logistica ai mezzi della Marina e della Guardia Costiera libica come previsto dall’accordo, sottolineano dalla Difesa, “sostenuto anche dal Viminale”, a salvaguardare il personale italiano a Tripoli e quello sulle piattaforme Eni.

Pd: “I porti chiusi invenzione mediatica”. M5s: “Redistribuzione diventi prassi” – Contro il governo si è espresso il Partito democratico: “I porti chiusi erano un’invenzione mediatica di Salvini, come dimostrano gli sbarchi della nave ‘Stromboli’ ad Augusta e della ‘Mare Jonio’ a Lampedusa”, ha detto il deputato dem Carmelo Miceli. “In questi mesi il governo non è mai stato in grado di produrre alcun atto amministrativo, alcuna carta formale sulla chiusura dei porti, perché i porti non si possono chiudere. Intanto il governo non è riuscito a rimpatriare neanche un migrante, altro che i 600mila che Salvini diceva in campagna elettorale di voler rimandare a casa. Quello che preoccupa è l’asservimento delle strutture del Viminale alla retorica politica e propagandistica del leader della Lega”.

Per gli eurodeputati M5s invece, quello visto in azione in queste ore, è un meccanismo virtuoso di redistribuzione da replicare: “L’iniziativa personale del premier Conte ha permesso la redistribuzione di 36 migranti”, ha detto l’eurodeputata Laura Ferrara in una nota. “Per superare questa fase di emergenza perenne i ricollocamenti dovrebbero essere prassi europea. Serve uno scatto di responsabilità fra i Paesi europei per rendere automatica e obbligatoria la redistribuzione. L’Italia non accetterà più di essere lasciata sola”.

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