E’ facile teorizzare soluzioni per ogni problema, è ben più difficile trovare le modalità per applicarle.
Ricordate Caster Semenya, l’ex doppia campionessa olimpica negli 800 metri affetta da iperandrogenismo (ovvero dalla produzione naturale di maggior testosterone)?
E’ di mercoledì il pronunciamento del TAS sulla sua posizione di opposizione ai nuovi regolamenti della Iaaf in merito, che ad oggi le impediscono di competere senza un trattamento ormonale atto ad abbassarne il livello di testosterone.

Parlammo già qui del quesito iniziale, chiedendoci in quale categoria dovessero competere gli atleti transgender; estendendo il discorso anche a quelli con differenze di sviluppo sessuale (Dsd), l’idea era quella di trovare delle soglie biologiche per cui stabilire se dal punto di vista sportivo i vari atleti vadano messi in competizione fra uomini o donne al di là del sesso assegnato alla nascita.
Ci ha provato la Iaaf, fissando nel livello di testosterone la soglia per le quali ammettere atleti a gareggiare fra le donne, pensando a regolamentare la posizione dei transgender, impattando ovviamente anche sugli atleti con iperandrogenismo. Tuttavia, senza fare i conti con le riserve della loro applicazione pratica: la difficoltà di stabilire la responsabilità oggettiva, quella di provare l’effettivo vantaggio atletico da coloro con più testosterone prodotto però naturalmente e infine coi possibili effetti collaterali del trattamento ormonale necessario per rientrare nel parametro fissato.

Da qui le sue perplessità espresse in merito dal TAS, lo stesso che però ha fermato ad ora Caster. Che in conseguenza di ciò ha espresso la volontà di ritirarsi, sentendosi discriminata nei suoi diritti da donna. Perché, nel frattempo che la scienza acceleri i propri provvedimenti in merito, quelli a patire sono coloro che, semplicemente, vorrebbero praticare lo sport che amano sapendo prima ciò che comporti.

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