L’arte giapponese del taglio della carta, conosciuta come kirigami, è il segreto del funzionamento del piccolo serpente robot sviluppato presso la Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences (SEAS). È veloce e preciso allo stesso tempo, doti promettenti per un futuro impiego nell’esplorazione di ambienti con limitati spazi di manovra, o per procedure mediche laparoscopiche.

Il lavoro è iniziato anni fa con l’impiego di un foglio di kirigami piatto, avvolto attorno a un attuatore in elastomero. Successivamente i ricercatori hanno ottimizzato il progetto modificando la dimensione dei tagli e la curvatura del materiale, arrotolando la superficie di kirigami in un cilindro, e impiegando un attuatore che applica forza alle due estremità. Così facendo il rivestimento non si modifica tutto simultaneamente, ma la deformazione si propaga da un’estremità all’altra del cilindro. Scegliendo attentamente le dimensioni dei tagli, la “pelle” del serpente si può programmare per deformarsi nelle sequenze desiderate, e quindi compiere movimenti più complessi. In dettaglio, mentre il robot si estende, la superficie del kirigami si “solleva” in una superficie tridimensionale, che “afferra” il terreno come la pelle di serpente.

Non solo: l’ampiezza della zona di transizione e la sollecitazione si possono controllare selezionando attentamente la geometria dei tagli e la curvatura del rivestimento. Benché il kirigami giapponese sia basato sulla carta, in questo caso vengono impiegati metamateriali, ossia composti che devono le loro proprietà alla loro struttura piuttosto che alla loro composizione chimica.

Ahmad Rafsanjani, primo autore dell’articolo, spiega che quello realizzato è “un primo esempio di una struttura di kirigami con deformazioni non uniformi”. Il lavoro non è terminato, ora i ricercatori sono al lavoro per creare deformazioni più complesse, indispensabili per poter svolgere i compiti desiderati. “Variando in maniera opportuna tagli e curvatura, possiamo programmare un comportamento notevolmente diverso”, aggiunge la coautrice dello studio Katia Bertoldi.

Lo studio è stato accettato per la pubblicazione su PNAS (Proceedings of the National Accademy of Science of the United States of America).

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