I centri di detenzione ufficiali, quelli gestiti dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale che nominalmente fa capo al governo Al Sarraj, hanno una capienza di 4-6mila persone. In Libia ci sono, secondo le ultime stime, 600mila migranti ma solo 200mila sarebbero pronti a partire verso l’Europa. L’Organizzazione Internazionale per le migrazioni ridimensiona le cifre che circolano da mesi sulla situazione in Libia. Ma l’offensiva lanciata da Khalifa Haftar su Tripoli amplifica il rischio di partenze di massa, come sottolineato dal premier Giuseppe Conte nell’intervista di ieri al Fatto Quotidiano. E a prendere il mare potrebbero essere anche gli stessi cittadini libici: lo erano 17 delle 70 persone sbarcate giovedì a Lampedusa.

Centri di detenzione, tra stupri, violenze, omicidi ed estorsioni
Sono 35 i centri di detenzione gestiti dal Dcim, “anche se il numero non rimane mai costante – spiega a IlFattoQuotidiano.it il direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim, Federico Soda – Al momento, quelli aperti sono una ventina e ancora meno quelli a cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Oim hanno accesso”. Questi sono i cosiddetti centri “ufficiali” a cui fanno riferimento i leader di governo europei e per la gestione dei quali l’Ue e l’Italia hanno stanziato milioni di euro al governo Al Sarraj. I soldi a pioggia, però, non hanno impedito a questi centri di diventare dei lager dove non c’è spazio per il rispetto dei diritti umani, tra mancanza di cibo, situazioni igienico-sanitarie gravissime, mancanza di accesso alle cure, violenze, stupri, omicidi, torture ed estorsioni ai danni degli immigrati. Come stabilito da diverse sentenze emesse da tribunali italiani. “Questo perché i centri che formalmente dovrebbero essere gestiti dall’autorità di Tripoli sono di fatto in mano alle milizie schierate con il governo di Al Sarraj”, spiega Soda.

Anche se stabilire quante persone si trovino nei centri di detenzione non riconosciuti è un’impresa quasi impossibile, visto che lì la compra-vendita di esseri umani è molto più diffusa e chiunque possieda un fondo ben protetto può decidere di trasformarlo in una prigione per migranti, secondo l’Oim la maggior parte dei detenuti si trova nelle strutture illegali: “La capienza dei centri ufficiali attualmente in funzione – spiega Soda – si aggira intorno alle 4mila-6mila unità, anche se stiamo parlando di centri sempre sovraffollati. Ma secondo le ultime stime, in Libia oggi si troverebbero 600mila migranti. Se si analizza la provenienza, si vedrà che circa il 50% di loro è rappresentato da egiziani, ciadiani e nigerini, nazionalità che rappresentano una stretta minoranza tra coloro che sono arrivati in Europa attraverso la Libia negli ultimi anni. Questo ci dice che il Paese, nonostante l’instabilità che lo caratterizza dal 2011, rimane prima di tutto un luogo di arrivo e non di transito, dove molti immigrati vengono per lavorare. Questo dimezza il numero di coloro che aspirano ad attraversare il Mediterraneo. Se a questi si aggiungono i circa 40mila che tra il 2017 e il 2018 abbiamo assistito nel processo di rimpatrio volontario, ecco che si scende ulteriormente poco sopra i 200mila”. È questo, secondo l’Oim, il numero reale dei migranti che vorrebbero affrontare la traversata: “Dati molto ridimensionati rispetto alle cifre fornite da alcuni governi. Numeri che potrebbero scendere ancora se venissero implementati i progetti di evacuazione e rimpatrio”.

Già centinaia di migranti nei centri di detenzione hanno subito le conseguenze della nuova escalation militare. Come ha scritto Al Jazeera che ha sentito alcuni di loro, in alcuni casi chi gestisce i centri è dovuto fuggire per non essere coinvolto nella battaglia e centinaia di persone sono rimaste chiuse nelle prigioni senza rifornimenti: “Il magazzino del cibo è vuoto – ha raccontato un uomo all’emittente panaraba – la guerra va avanti e siamo rimasti anche senza acqua e senza elettricità”. Oltre alla paura di morire dentro il girone dell’inferno libico, un altro timore dei migranti è quello di essere venduti ad altri trafficanti e continuare questa detenzione a tempo indeterminato. Chi invece riuscirà a fuggire dai lager potrebbe tentare il prima possibile una disperata traversata del Mediterraneo. A questi, se venisse a crearsi un’emergenza umanitaria o se la capitale venisse completamente travolta dall’avanzata di Haftar, potrebbero aggiungersi anche migliaia di libici colpiti dal conflitto, come rivelato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un’intervista al Fatto Quotidiano e come dimostra anche la presenza di 17 migranti libici su un barcone con 70 persone a bordo intercettato nei giorni scorsi a largo di Lampedusa. “Li rispediremo tutti a casa”, ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ma il riacutizzarsi del conflitto rende difficile considerare la Libia come un porto sicuro. Circostanza che potrebbe rendere impossibile frenare l’emorragia di persone in arrivo sulle coste siciliane.

I milioni dell’Italia e dell’Ue per la gestione dei lager libici
La gestione criminale dei centri di detenzione ufficiali ha un costo che trova sostegno anche nei soldi che Unione europea e Italia hanno trasferito al governo Sarraj. I finanziamenti arrivati a Tripoli da Bruxelles, secondo gli ultimi dati diffusi, ammonterebbero a 266 milioni di euro che farebbero parte del Trust Fund Europeo per l’Africa che ha un budget finale previsto che supera i 4 miliardi di euro per tutto il continente. Più della metà di questi 266 milioni, secondo i dati analizzati da Openpolis, sono stati investiti per la questione sicurezza che riguarda nella quasi totalità la gestione dei centri di detenzione e il controllo delle frontiere. Non a caso, al “Support to integrated border and migration management” per la gestione dei confini libici erano stati dedicati 46,3 milioni già a luglio 2017. Circa 12,5 milioni sarebbero invece finiti a finanziare e supportare la Guardia costiera libica per il pattugliamento delle acque nazionali di fronte alle coste in mano a Sarraj.

A questo esborso, per il quale l’Italia è uno dei maggiori contribuenti seconda solo alla Germania, va aggiunto il supporto fornito direttamente da Roma dopo la stipula del memorandum Italia-Libia del 2 febbraio 2017. Nell’accordo era prevista la fornitura di mezzi e materiali e l’addestramento degli ufficiali della Guardia costiera di Tripoli. Questo impegno si è tradotto in 12 motovedette, addestramento degli ufficiali e finanziamenti per la manutenzione delle imbarcazioni, con la nave-officina Gorgona e il suo equipaggio ancorati a Tripoli. A questi investimenti andrebbero aggiunti anche i 5 milioni di euro che nel 2017, secondo quanto sostenuto da inchieste giornalistiche, Roma avrebbe girato al governo al-Sarraj per controllare le partenze dalle coste libiche. Soldi finiti in mano al clan Dabbashi, una milizia guidata dall’ex trafficante Ahmed Al Dabbashi che, così, si è riciclata come gestore dei flussi migratori, imprigionando migliaia di persone all’interno dei lager.

Twitter: @GianniRosini

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