Ha preso in braccio il nipote di cinque anni e si è gettata nel vuoto dall’appartamento al decimo piano di un palazzo in largo Montecassino, in una zona residenziale di Modena. Cosi sono morti sul colpo il piccolo Gabriele e sua zia Silvia Pellicani, ingegnere informatico di 47 anni. È successo dopo le 19 di domenica 17 marzo: la donna si trovava in casa da sola con il figlio di suo fratello. Dalle prime ricostruzioni degli inquirenti sembra essersi trattato di un omicidio-suicidio: la porta dell’appartamento chiusa dall’interno sembra infatti confermare l’ipotesi del gesto volontario ma ancora non si conoscono le ragioni che hanno spinto la donna a buttarsi dalla finestra della sua camera da letto.

Non è stato ancora accertato nemmeno perché il piccolo Gabriele si trovasse con lei nell’abitazione: come riporta Il Resto del Carlino, sembra infatti che il bambino fosse stato affidato dai genitori alla nonna e non dovesse quindi trovarsi con la zia. A dare l’allarme è stato un vicino di casa che ha notato i corpi a terra ma quando sono arrivati sul posto polizia e 118 per i due non c’era ormai più nulla da fare.

Non sarebbero stati trovati, dentro l’abitazione, biglietti o lettere con spiegazioni sul perché. I genitori del bambino hanno avallato l’ipotesi che la donna possa essersi effettivamente suicidata, uccidendo al contempo il nipote. Il riserbo in merito ai possibili motivi del gesto estremo e dell’omicidio restano al momento ignoti anche se pare escluso, almeno fino a questo momento, che la donna fosse assistita per problemi di natura psichica anche se, come riporta Il Resto del Carlino, i genitori del bambino hanno detto agli inquirenti che negli ultimi tempi la zia si fosse molto chiusa e avesse limitato la sua vita sociale, lavorando anche da casa.

Non è stato un incidente”, ha spiegato il procuratore Lucia Musti, aggiungendo che sarà “comunque disposta l’autopsia” sui due corpi. “Si tratta di una tragedia maturata in un ambiente sociale e culturale medio-alto, non degradato”, prosegue il procuratore. Dalle indagini fatte, inoltre, non emergono patologie nella donna: “Nulla ci induce a pensare a condizioni precarie di salute”, né risultano problemi psichici o che fosse in cura. Né ci sono ipotesi su istigazione o responsabilità da parte di altri. “Cercheremo comunque di capire – prosegue Musti – per chiudere in maniera completa la vicenda”.

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