Il disastro aereo della Ethiopian Airlines arriva a distanza di pochi mesi da un analogo incidente in Indonesia. I due eventi catastrofici hanno in comune il velivolo, in entrambi i casi un Boeing 737 Max.

Mentre – è ovvio – si sa ancora poco dello schianto dell’aereo diretto a Nairobi, il crash della Lion Air dello scorso autunno è stato oggetto di approfondimenti e di conseguenti iniziative. Il lavoro degli esperti dell’Indonesian National Transportation Safety Committee sullo sventurato volo 610 ha concentrato l’attenzione su un problema connesso al software di bordo. In particolare sarebbe stata riscontrata un’anomalia di funzionamento legata al sistema Aoa (Angle of attack) che interviene a correzione dell’assetto dell’aeromobile quando questo supera inclinazioni che possano determinarne lo stallo.

Quest’ultimo – in parole povere – è la condizione in cui un aeromobile non può sostenersi in aria perché il suo peso non riesce a essere sopportato dalla portanza delle ali, nonostante la spinta che la velocità dovrebbe assicurare. È un rapporto complesso che forse può essere reso comprensibile pensando all’ombra che le ali – fossero mai illuminate perpendicolarmente – proiettano a terra. Se l’aereo è orizzontale, l’ombra (e quindi la superficie alare che mantiene in aria il mezzo) è molto simile alle dimensioni delle ali. Più si inclina l’aereo, più piccola diventa l’ombra delle sue ali e conseguentemente la grandezza su cui “poggia” l’aereo in volo.

Sempre continuando in questa spiegazione elementare (e forse un po’ banale, ma non è facile raggiungere i lettori a digiuno di aerodinamica) il venir meno di questo rapporto velocità/peso/portanza fa sì che l’aereo – che sale pericolosamente di quota in modo eccessivamente verticale – finisca con il precipitare.

Per evitare questo genere di situazioni esistono controlli elettronici che – al verificarsi di angolazioni pericolose – innescano una determinata procedura di correzione. In termini pratici il sistema Aoa interviene “abbassando il naso” dell’aeroplano, modificando verso il basso l’assetto del velivolo. Il malfunzionamento di un sensore o errori di programmazione possono determinare l’esecuzione automatica di questa manovra quando non ce n’è assolutamente bisogno, indirizzando l’aereo verso terra nonostante la sua stabilità non sia affatto compromessa. Le conseguenze sono facilmente immaginabili e in queste circostanze il comandante deve prontamente disinserire le funzionalità automatiche e contrastare il “cervello elettronico” con il pilotaggio manuale, escludendo il supporto normalmente assicurato dalle sofisticate tecnologie a disposizione.

L’esame dell’autorità per la sicurezza dei trasporti indonesiana sul volo Lion Air 610 ha innescato iniziative volte a evitare inconvenienti. Chi vuole soddisfare la curiosità può leggere il Flight crew operations manual bulletin TBC-19 del 6 novembre 2018 (avente per oggetto Uncommanded nose down stabilizer trim due to erroneous angle of attack (AOA) during manual flight only e quindi le problematiche di cui abbiamo parlato finora) oppure la Emergency airworthiness directive (Ad) 2018-23-51 emanata il giorno successivo dalla Federal aviation administration americana.

Mentre è troppo presto e persino inopportuno fare ipotesi senza disporre di elementi reali e prove certe, non ci si sbaglia a soffermarsi un attimo e riflettere sulla progressiva e inarrestabile permeazione delle tecnologie nel nostro muoversi quotidiano. Se davvero questi drammatici episodi sono stati originati da malfunzionamenti o errori tecnologici e si prospetta un futuro duello tra l’uomo che si serve di un mezzo di trasporto (anche semplicemente su ruote) e le macchine che si autogovernano, forse vale la pena dosare l’entusiasmo verso l’automatismo assoluto cui tutti plaudono.

Gli inguaribili sognatori e chi non vuole rinunciare alle scorie che il progresso ci riserva dovrebbero tornare a vedersi 2001 Odissea nello spazio, film del 1968, così da capire che le controindicazioni non sono presenti solo nella fantasiosa finzione di un grande regista. Quello di Stanley Kubrick potrebbe non essere soltanto un capolavoro della cinematografia, ma un inesorabile vaticinio.

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