“Il ministro Trenta ha dato disposizioni al Coi (il Comando operativo di vertice interforze, ndr) di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan“. “L’orizzonte temporale potrebbe essere quello di 12 mesi“. Due virgolettati affidati alle agenzie di stampa da non meglio precisate “fonti” del ministero della Difesa aprono un caso nel governo. Una decisione, trapelava poi sulle agenzie, sulla quale ha influito l’annuncio dato il 21 dicembre dall’amministrazione Trump di voler dimezzare la presenza di truppe americane nel paese, da circa 14mila a 7mila uomini e che sarebbe stata discussa sia con gli alleati americani, sia con la Nato, sia con le autorità afgane.

Ma di cui il ministero degli Esteri pare non sapere nulla: “Lo apprendo adesso che lo avrebbe detto oggi. Non ne ha parlato con me – ha commentato il capo della Farnesina Enzo Moavero Milanesi da Gerusalemme – Non appena torno a Roma o non appena dovessi sentire il ministro Trenta, ne riparleremo”. Sorpresa anche la Lega, che attacca e nega che sia stato stabilito ufficialmente il ritiro delle nostre truppe. “Facciamo quel che serve per riportare pace e stabilità – dicono fonti del Carroccio -. Al momento nessuna decisione è stata presa ma solo una valutazione da parte del ministro per competenza”. Da Palazzo Chigi, però, fanno sapere che la richiesta di valutare una pianificazione del ritiro del contingente italiano “avviata dal ministro Trenta è stata condivisa con la presidenza del consiglio”.

Un cortocircuito che, però, i senatori M5S della Commissione Difesa ignorano: “Abbiamo accolto con felicità e commozione l’annuncio della decisione del ministro Trenta di riportare finalmente a casa i nostri ragazzi dall’Afghanistan dopo 17 anni di missione – hanno scritto in una nota -. Un annuncio tanto più importante perché arriva insieme alle incoraggianti notizie di una storica intesa tra Stati Uniti e insorti talebani che apre la strada al ritiro generale delle truppe e alla pacificazione del Paese dopo 17 anni di guerra. Una guerra costata al nostro Paese non solo miliardi di euro – 168 milioni di costi vivi solo lo scorso anno – ma soprattutto la vita di 55 militari italiani e la salute di altre centinaia, rimasti feriti e mutilati. A loro va in questo momento il nostro pensiero”. Dell’eventuale ritiro dell’Italia da missioni internazionali si parlava anche nel contratto di governo che però si limitava a osservare che “è opportuno rivalutare la nostra presenza nelle missioni internazionali sotto il profilo del loro effettivo rilievo per l’interesse nazionale”.

In serata sull’ipotesi di un ritiro di truppe dal Paese è stata l’Alleanza Atlantica a tirare il freno a mano: “Siamo in Afghanistan per creare le condizioni di una soluzione pacifica negoziata – ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al Pentagono – non lasceremo prima di avere una situazione che ci permetterà di ridurre il numero di truppe, il nostro obiettivo è quello di impedire che il Paese torni ad essere un paradiso sicuro per il terrorismo internazionale”. “E’ troppo presto per speculare sul ritiro, quello che serve è sostenere gli sforzi per una soluzione pacifica”.

Critiche dalle opposizioni: “Trenta doveva riferire in Parlamento” – A notare invece il cortocircuito sono le opposizioni. Forza Italia spiega di avere appreso “ancora una volta da fonti di stampa quello che il Ministro della Difesa Trenta dovrebbe dire in Parlamento” e ricorda che “solo poche settimane fa le Camere hanno approvato alla unanimità la partecipazione dell’Italia a questa ed alle altre missioni internazionali per l’anno 2018″. Interviene anche il Pd, con la la senatrice Tatjana Rojc (Pd), componente della commissione Difesa. “Un cambio repentino di politica estera come il ritiro dalle nostre truppe dall’Afghanistan un Governo serio non lo fa filtrare da ‘fonti’: il Ministro viene in Aula, riferisce, si discute e poi si vota”. E su twitter intervengono Maria Stella Gelmini e il deputato del Pd Filippo Sensi.

I negoziati tra Stati Uniti e talebani – La bozza dell’accordo di pace tra Stati Uniti e talebani di cui oggi ha dato notizia il New York Times potrebbe spianare la strada a colloqui di pace con Kabul. Il quotidiano americano cita il capo negoziatore Usa, Zalmay Khalilzad, spiegando che restano dei punti di scontro sul cessate il fuoco che i talebani dovrebbero concedere e sul ritiro delle forze straniere. Dopo nove anni di sforzi, la bozza quadro è il passo avanti più grande per porre fine ai 17 anni di guerra, che sono costati decine di migliaia di vite.

Khalilzad guida da mesi la spinta diplomatica per convincere i talebani a negoziare con il governo afghano, ma i militanti si sono fermamente rifiutati, definendo le autorità di Kabul dei “burattini”. Le attività sono culminate in sei giorni consecutivi di colloqui in Qatar la scorsa settimana e nel weekend sia gli Usa sia i talebani hanno riferito di progressi. “Abbiamo una bozza di principio”, ha annunciato secondo il New York Times Khalilzad, che è arrivato a Kabul domenica per aggiornare le autorità afghane sui colloqui. Gli esperti hanno accolto rapidamente la dichiarazione come una pietra miliare, sottolineando che indica la volontà da entrambe le parti di trovare una soluzione al conflitto. Tuttavia non c’è ancora nessun accordo sulla tempistica del ritiro Usa, né su un cessate il fuoco, i principali punti di scontro su cui in passato sono affondati i tentativi di colloqui.

Sabato il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha detto che senza un calendario di ritiro progressi su altre questioni sono “impossibili”. Il capo negoziatore Usa, però, ha confermato che i talebani hanno accettato un nodo chiave per Washington, cioè quello dei porti sicuri: “I talebani si sono impegnati, con nostra soddisfazione, a fare il necessario per evitare che l’Afghanistan diventi una piattaforma per gruppi terroristici internazionali o per singoli terroristi”, ha detto al Nyt. Queste dichiarazioni danno peso alle notizie della scorsa settimana secondo cui i talebani avevano acconsentito a opporsi ad al-Qaeda e all’Isis in Afghanistan. L’invasione Usa del 2001 fu spinta dal fatto che i talebani davano rifugio ad al-Qaeda, ma oltre 17 anni dopo il gruppo jihadista sembra ridotto nella regione; anche se l’Isis è invece in crescita ed è una presenza potente nel Paese. Il presidente afghano, Ashraf Ghani, ha lanciato intanto un appello dicendo che i talebani dovrebbero “entrare in colloqui seri” con il suo governo. Le autorità di Kabul hanno chiarito che qualsiasi accordo fra Usa e talebani dovrebbe richiedere l’endorsement dell’Afghanistan.

L’esercito italiano da 17 anni sul territorio – I primi militari del contingente italiano giunsero a Kabul all’inizio del 2002, nella convulsa fase geopolitica seguita all’attentato alle Torri Gemelle. Varata dall’Onu nel dicembre del 2001 con il compito di proteggere il governo transitorio di Hamid Karzai dalla minaccia dei Talebani, la missione Isaf (International Security Assistance Force) arrivò a contare 58mila militari di 40 nazioni diverse. L’operazione è poi confluita, dal dicembre del 2014, nella missione Rs (Resolute Support), forza multinazionale di sostegno tuttora in attività.

Il contingente italiano prevede attualmente un impiego massimo di 900 militari, 148 mezzi terrestri e 8 aerei, suddivisi tra personale con sede a Kabul e contingente militare italiano dislocato ad Herat. L’Italia ha garantito alla Nato ed alla Repubblica dell’Afghanistan il proprio supporto e in questo contesto il Train Advise Assist Command West (TAAC-W) di Herat prosegue le attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle Istituzioni e delle forze di sicurezza locali concentrate nella regione Ovest del Paese.

L’area di responsabilità italiana in cui opera il TAAC-W è un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale, grande quanto il Nord Italia, che comprende le quattro province di Herat, Badghis, Ghor e Farah. La componente principale delle forze italiane è attualmente costituita da personale dell’Esercito proveniente dalla Brigata Aeromobile Friuli, con un significativo contributo di personale e mezzi della Marina Militare, Aeronautica Militare e Arma dei Carabinieri.

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