Ha ancora senso parlare di lentezza? In una situazione costellata di emergenze che compongono una sorta di calotta polare in liquefazione, per capire in che direzione muoversi è necessario riflettere. Si tratta di un’antica ricetta, di fronte a una difficoltà: rallenta, fermati, rifletti, riparti. Una volta ripartiti non si tratterà poi di andare sempre adagio o sempre forte: dovremo avere un andamento alternato, correre quando dobbiamo e rallentare quando possiamo. Correre a più non posso non consente di coprire distanze lunghe e andare solo adagio può farci ritrovare isolati.

Instaurando questo criterio scopriremo la rapidità e cioè l’energia che sprigiona dalla nostra mente attraverso il nostro corpo per raggiungere senza errori la meta stabilita (Italo Calvino, Lezioni americane). Non basta dunque rallentare: occorre imparare a muoverci nell’incertezza, le vie maestre del passato non è detto che ci conducano in porto. Restano però le idee e i valori, che se applicati al presente ci permetteranno di avere vissuto con pochi rimpianti, perché avremo fatto esattamente quello che volevamo in quel determinato momento.

Si parla sempre più spesso di felicità. Tante sono le proposte per raggiungerla: nella maggior parte dei casi si tratta di soluzioni istantanee a base di prodotti da acquistare, che una volta acquisiti ci spingeranno a un altro prodotto o a una soluzione miracolosa. Forse dovremmo trasformare il concetto e in luogo di aspirare alla felicità provare gioia. È un tema caro a Vittorino Andreoli (La gioia di pensare, Bur); ai suoi ragionamenti aggiungo che la gioia è qualche cosa che nasce da dentro, che non ha bisogno di appigli per trasformarsi in felicità, non è il risultato di un incontro con l’esterno, ma uno stato che riusciamo a ottenere scavando al nostro interno.

Qualcuno, come Deepack Chopra, parla di beatitudine. Il contesto, l’ambiente in cui operiamo, non è certo favorevole a sviluppi di questo tipo: rabbia, eccessi, uso della forza sono in sospensione nell’aria che respiriamo e anche se tante persone, più o meno famose, dichiarano di essersi convertite alla lentezza, osservando l’andamento della società non si vedono risultati né coerenza nelle loro vite. Il rischio annuncio, o moda, è sempre presente.

Personalmente di lentezza ne ho ancora bisogno: ci vuole un nonnulla per riavvicinarmi alla frenesia inefficace di quando ho iniziato a invitare le persone a rallentare, come primo atto del proprio cambiamento. Da dove iniziare il proprio cammino? Se chiederete a Tich Nath Han, il monaco buddista vietnamita che a 93 anni continua a essere un riferimento per la pace a livello mondiale, vi dirà che si parte dal respiro, inspirando ed espirando. Con Vivere con Lentezza, alla domanda da dove iniziare, abbiamo risposto con i Comandalenti, i Comandamori, i Bicilenti, i Nalenti, i Comandalenti in cucina, ma sempre il nostro primo passo sarà rallentato e il secondo sarà diverso per ognuno di noi. Se non ne foste convinti potreste leggere quanto consiglia The World Institute of Slowness dalla Norvegia.

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