Adesso per i vertici della Banca Popolare di Vicenza si apre la prospettiva di una contestazione di bancarotta fraudolenta. Infatti il Tribunale ha dichiarato lo stato di insolvenza della banca che si trova in regime di liquidazione coatta amministrativa. La decisione del giudice Giuseppe Limitone è destinata a marcare il fronte giudiziario per il dissesto che ha causato la perdita dei risparmi per decine di migliaia di azionisti di PopVicenza, il cui ex presidente Gianni Zonin è attualmente sotto processo assieme ad alcuni amministratori. Infatti, i difensori di Zonin hanno già annunciato l’intenzione di fare ricorso. È una situazione simile a quella dell’altro istituto di credito veneto travolto dalla crisi finanziaria, Veneto Banca di Montebelluna, il cui ex amministratore delegato Vincenzo Consoli si è opposto a una analoga decisione del Tribunale di Treviso.

I sostituti procuratori vicentini Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, titolari dell’inchiesta per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza a carico di sei imputati (altre alla banca in proprio), dopo aver ottenuto ragione (la richiesta di insolvenza risale al marzo 2018) possono far virare le indagini verso la bancarotta. Il reato è più grave del semplice aggiotaggio e quindi i termini della prescrizione si allungano per il processo che ha già visto la celebrazione di due udienze (a Vicenza, la terza si terrà nell’aula-bunker di Mestre).

Il giudice Limitone ha basato la propria sentenza sulla relazione dei consulenti, il professor Bruno Inzitari e il professor Luciano Matteo Quattrocchio. Secondo gli esperti, quando il 25 giugno 2017 il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, aveva disposto la liquidazione coatta amministrativa di PopVicenza, i conti presentavano uno “sbilanciamento notevolissimo”, tale da poter definire “la condizione di deficit di liquidità (endogena), attuale e prospettica, di natura irreversibile”. In quel momento l’istituto di credito vicentino non era più in possesso delle “necessarie condizioni di liquidità e di credito per l’esercizio dell’attività bancaria”, considerando che la Banca Popolare Europea due giorni prima aveva definito Popolare Vicenza “prossima al dissesto”.

In quel momento (la tesi è sostenuta anche dai consulenti della Procura, Giovanni Petrella e Andrea Resti) alla banca restava un patrimonio netto di 2 miliardi di euro, comunque insufficiente per garantire la liquidità per un insolvenza quantificata in 3,7 miliardi e comprensiva del contributo statale a Banca Intesa per 2,5 miliardi necessario per il salvataggio. Ma quello fu solo il momento terminale. Già nel dicembre 2016 le condizioni di liquidità e di credito erano, secondo il giudice, “fortemente compromesse”. Era quella l’epoca in cui PopVicenza chiese la prima garanzia statale a emettere obbligazioni. Ma l’irreversibilità dell’insolvenza si sarebbe manifestata il 23 giugno 2017, data a cui va ancorato il calcolo del valore degli asset rimasti.

Contro questa tesi si era schierato il professor Marco Onado, consulente dell’ex presidente Gianni Mion, dell’ex amministratore delegato Fabrizio Viola (poi commissario di BpVi) e dell’ultimo cda, secondo cui i patrimonio netto pari a due miliardi garantisse la solvibilità. Concetti ribaditi dal consulente di Zonin, il professor Paolo Gualtieri, secondo cui sul passivo della liquidazione non potevano essere caricati due miliardi e mezzo di finanziamento statale a Banca Intesa.

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