Domenica 9 dicembre alle 20.30 lo stadio Santiago Bernabeu di Madrid dovrebbe ospitare la finale di ritorno della Copa Libertadores 2018. “Dovrebbe” perché ormai con il Superclásico il condizionale è d’obbligo. E perché ancora oggi, più che una partita, River Plate vs Boca Juniors resta un groviglio di polemiche, denaro e paure.

Copa Conquistadores – L’Argentina intera (ma non solo) sta vivendo come un insulto la decisione di portare in Europa la manifestazione più importante del Sud America. Un’umiliazione veder consumare alla corte del re di Spagna l’atto conclusivo del trofeo che dal 1965 omaggia la memoria di chi ha combattuto proprio per l’indipendenza dell’America latina. Affidando alle cure della capitale castillana la Libertadores 2018, la Conmebol ha poi saputo scontentare in un sol colpo sia Boca che River. Per gli Xeneizes, infatti, la partita continua a non doversi disputare. Tanto che il presidente Daniel Angelici ha annunciato il ricorso al Tas di Losanna, chiedendo la sospensione cautelativa del match di domenica e l’assegnazione ai suoi della vittoria a tavolino. Secondo il patron dei Millonarios Rodolfo D’Onofrio, al contrario, le vere vittime sarebbero i rioplatensi, derubati della finale al Monumental e puniti per le mancanze di uno Stato incapace di garantire il corretto svolgimento di una partita di calcio. Nel mezzo giocatori e allenatori, questa volta schierati a fronte unico. Con il mister del River Marcelo Gallardo a indignarsi per la “vergogna totale” di un match estradato a 10mila chilometri da Buenos Aires e con la bandiera del Boca Carlos Tevez pronto a fargli eco, definendo i dirigenti Conmbebol “tre pazzi dietro una scrivania”.

Una questione di soldi – Altra benzina sul fuoco è stata poi gettata dalle battute del presidente Fifa Gianni Infantino, per il quale Madrid “è un po’ come il Sudamerica”. Parole che hanno urtato non poco l’ex boquense Juan Roman Riquelme, che non ha esitato invece a etichettare la trasferta madrilena come “la più costosa amichevole della storia”. L’idea di far traslocare il Superclásico al Santiago Bernabeu è nata grazie agli ottimi rapporti tra il presidente della Conmebol Alejandro Dominguez, quello della federcalcio spagnola Luis Rubiales e il patron del Real Florentino Perez. Il placet del principale sponsor – il Banco Santander – ha fatto poi il resto, concretizzando un business che genererà circa 42 milioni di entrate dirette e altri 50 milioni di entrate indotte per la capitale spagnola. A contribuirvi saranno soprattutto i tifosi del River, colpiti una volta di più da un cambio di sede che ha invalidato i tagliandi da loro acquistati per la gara che si sarebbe dovuta disputare sabato 24 novembre. Una beffa che ha costretto i Millonarios a mettersi in coda per comperarne di nuovi da affiancare alle carte di imbarco per voli andati però esauriti in tre ore. Infine, la corsa per accaparrarsi un posto alla partita della vita si è fatta ancor più complicata a causa di un’”inedita” concorrenza. Vista la neutralità del Bernabeu, infatti, per la prima volta dopo cinque anni il Superclásico ha aperto le sue porte a entrambe le tifoserie, costringendo i tifosi rioplatensi a fare spazio anche ai cugini del Boca. Ad ogni modo i costi restano proibitivi: si va dai 347 ai 683 euro di listino, per poi decollare oltre i 3mila non appena ci si rivolge ai bagarini online. Un simile rincaro ha fatto storcere e non poco il naso al pubblico argentino, che ha trovato facile sponda in Diego Armando Maradona: “A questo Alejandro Dominguez chiedo: che cazzo devo fare se la mia famiglia vuole andare a vedere River-Boca e devo portarla a Madrid? Mica siamo tutti Mauricio Macri! Sai quanto costa? Figlio di puttana, crea un piano di sicurezza e falli giocare nello stadio del Velez (club di Liniers, sobborgo di Buenos Aires, ndr)”.

Arrivano le barras bravas L’Argentina ha così perso quella che sarebbe dovuta essere la sua finale. E l’ha persa a causa dell’incapacità di far fronte a un vero e proprio sistema criminale: le barras bravas, gruppi ultras violenti e radicati nel territorio. L’assalto al bus del Boca Juniors, infatti, si è rivelato una rappresaglia inscenata da Los Borrachos del Tablòn per vendicare il torto dell’arresto subito dal ras Hector Godoy. Ora la palla passa a Pedro Sanchez. Il pericolo è alle porte e toccherà a lui gestirlo. Oltre 500 membri delle barras bravas sono, infatti, attesi per domenica a Madrid. Tra questi figurano anche alcuni fra i più temuti capi ultras del Sudamerica. Mancheranno però Mauro Marin e Rafael Di Zeo, braccio destro e leader maximo della Doce, il gruppo ultras xeneizes. Pluripregiudicato, costretto al daspo e sotto inchiesta, Di Zeo era comunque riuscito a ottenere un regolare permesso per recarsi nella capitale, ma ha deciso all’ultimo di rinunciare al viaggio sotto consiglio del suo avvocato. Come ricordato dal delegato del governo José Manuel Rodriguez Uribes, l’ordine è quello di rintracciare, bloccare e rimpatriare ogni individuo violento e con precedenti penali. L’obiettivo, dunque, è scongiurare il pericolo direttamente in aeroporto. Ad alzare la tensione, tuttavia, è la possibilità che le barras bravas trovino appoggio nelle tifoserie spagnole del Siviglia (Boca) e del Rayo Vallecano (River). Testimonianza della pericolosità di questi gruppi è stata data persino da Oscar Ruggeri, difensore campione del mondo nell’86 con l’albiceleste, a cui la Doce non perdonò la scelta di passare dal Boca Juniors al River Plate. Gli ultras appiccarono fuoco alla sua casa mentre i suoi genitori erano all’interno. Si salvarono per miracolo. Per disinnescare questo pericolo più che mai concreto, il governo di Madrid ha previsto il dispiego di oltre 5mila forze dell’ordine e la disposizione di tre anelli di sicurezza. La missione è chiara: far sì che domenica (se si giocherà) la battaglia resti confinata al rettangolo verde e alle pagine di sport. La cronaca deve restarne fuori.

Twitter: @Ocram_Palomo

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