Consumato il primo atto, va in scena il gran finale. Questa sera (sabato) alle 21 ora italiana, il Boca Juniors entrerà nella tana del River Plate, al Monumental di Buenos Aires, per la gara di ritorno della finale della Coppa Libertadores 2018. Dopo il rocambolesco pareggio registrato un paio di settimane fa alla Bombonera, i due club più titolati d’Argentina sono pronti a darsi battaglia davanti a oltre 60mila spettatori. In palio, la corona di regina del Sud America ma anche molto altro.

Zitti tutti, parla il campo – Prevista per sabato 10 novembre, la partita d’andata è naufragata sotto al nubifragio che ha investito la capitale argentina, costringendo la Conmebol a rinviare il primo capitolo del Superclásico. Ventiquattrore extra di attesa, non preventivate da una città e da una tifoseria che non aspettavano altro che vivere il derby della Boca. Novanta minuti di sussulti ed emozioni evaporati poi in un 2 a 2 che lascia aperto ogni orizzonte attorno alla gara di questa sera. Protetti da un fortino di maglie biancorosse, i Millonarios partono leggermente favoriti, mentre gli Xeneizes ancora masticano bile per il doppio vantaggio sperperato davanti al pubblico amico. Oggi come allora, la zona calda del campo è da tracciare attorno alla trequarti di casa. I reparti di maggior impatto delle due formazioni, infatti, si trovano lì. Celebrati anche dal Burrito Ariel Ortega, i centrali difensivi Maidana e Pinola sono la vera forza rioplatense, soprattutto alla luce dell’assenza del terminale offensivo Borré. Il centravanti colombiano, infatti, salterà la sfida di ritorno per aver raggiunto il limite d’ammonizioni, caricando quindi il peso dell’attacco sulle spalle di Pratto, protagonista dell’andata con un gol e un’autorete propiziata. Gli azul y oro, d’altro canto, godono di un arsenale offensivo praticamente illimitato. Se anche il forfait di Pavon – frenato dall’infortunio rimediato alla Bombonera – dovesse essere confermato, gli ospiti potranno infatti contare sull’indemoniato Abila e pescare dalla panchina uno fra Zarate, Benedetto o Tevez, pronto a scrivere quella che potrebbe essere l’ultima pagina della sua carriera.

Strane regole, strani furti – A differenza del match d’andata, intriso di sfrontato entusiasmo e ritmi folli, quello delle 17 ora locale sarà un duello più teso e ragionato. Non solo per l’ansia che morderà i nervi dei giocatori in campo, ma anche a causa di alcune norme molto particolari, che non faranno altro che esaltare l’aspetto strategico dell’incontro. Diversamente dalle doppie sfide europee, il regolamento della Coppa Libertadores annulla infatti le differenze fra gol segnati in casa e in trasferta. Se al termine dei 90 minuti regolamentari dovesse ancora regnare l’equilibrio, la partita proseguirà dunque ai supplementari. Qui, Gallardo – o, meglio, del suo assistente Matias Biscay, dato che il mister del River sarà ancora assente per squalifica – e Schelotto avranno a disposizione una quarta sostituzione. Il curioso regolamento Conmebol, però, non finisce di stupire. Qualora neppure i tempi supplementari dovessero bastare a eleggere una vincitrice, a vigilare sulla lotteria dei rigori, oltre all’arbitro e a un suo collaboratore, ci sarà infatti anche la Var. Un carico d’ansia extra per atleti già soverchiati dalla difficoltà di dover memorizzare i complessi piani-partita dei rispettivi tecnici. E proprio queste “bibbie laiche” negli ultimi giorni sono state protagoniste di una piccola spy story. In un cestino della spazzatura di Buenos Aires è stata rinvenuta una cartelletta recante lo stemma dei Millonarios. All’interno, accanto al passaporto di Marcelo Gallardo, la programmazione degli allenamenti del River e gli schemi disegnati per sorprendere il Boca. Per alcuni, i documenti sarebbero stati trafugati e fotocopiati da spie boquensi; secondo altri, invece, la vicenda non sarebbe altro che una messa in scena dello stesso Gallardo, intenzionato a depistare i rivali diffondendo indicazioni false.

Il “derby di quartiere” –  “Quante possibilità ci sono che una finale continentale sia un derby di quartiere?”. Dice bene l’Afa (la federcalcio argentina), questo doppio Superclásico è un evento unico. Nonostante l’innegabile rinascimento del futbol albiceleste, che da oltre dieci anni non toccava simili vette, bisogna tuttavia sottolineare che il livello di calcio espresso dalle due formazioni resta mediocre e che le attrattive del confronto, in fondo, sono altre. A rendere “inspiegabile” il duello sono infatti il pubblico, la passione che lo anima e le storie che raccontano questo sentimento. A cominciare da quella di Renzo, sei anni, tifoso del River, che decide di allestire per strada un piccolo mercatino, offrendo i suoi giocattoli pur di ottenere un biglietto per il già esaurito Monumental. Per proseguire poi con l’allenamento di rifinitura del Boca, una sgambata che ha attirato oltre 50mila persone alla Bombonera, lasciandone fuori dallo stadio altre mille pronte e tutto pur di poter dire un giorno: “Io c’ero”. Ma River contro Boca è anche Gallinas (galline) contro Bosteros (sterco), è la storia di una rivalità che non si esaurisce e anzi si alimenta. Incendiata dalle parole della bandiera xeneizes Riquelme – uno che nel barrio è considerato qualcosa di simile a una divinità – che ha ricordato ai rivali la cocente retrocessione del 2011 storpiandone il nome in “RiBer“. Un antagonismo sportivo che diventa culturale, preoccupando persino i medici, che si affrettano a prescrivere telecronache “soft” per i cardiopatici e invitano a seguire la partita a casa, lontano dalla frenesia delle masse. Ma sono consigli regalati al vento, come ha spiegato Camoranesi: “Chi perde non si rialza per 50 anni”. Perché River-Boca è la fine del mondo.

Twitter: @Ocram_Palomo

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