di Maurizio Donini

Secondo alcuni dati diffusi, parrebbe che la violenza contro le donne sia un fenomeno in forte calo. La notizia ha destato notevole stupore, ma se non ho usato il termine femminicidio un motivo c’è. Già sul metodo di calcolo del fenomeno ci sarebbe da discutere, ma la violenza contro le donne può essere esercitata in molteplici maniere e non solo tramite un omicidio. Recentemente Asia Bibi è stata assolta da tutte le accuse con una sentenza definitiva della Corte Suprema del Pakistan letta dal giudice Saqib Nisar. Ma nessuno le può restituire i quasi 4mila giorni passati in carcere a questa madre cattolica di 5 figli accusata di blasfemia. E la donna, sul cui capo pende una taglia da 50 milioni di rupie (350 mila euro), sarà costretta a lasciare il Paese per non essere uccisa. Pericolo decisamente reale visti i precedenti assassinii del governatore musulmano del Punjab, Salman Taseer e del ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti, entrambi si battevano per la liberazione di Asia.

All’estremo opposto del pianeta condizione della donna, il Premio Nobel per la Pace 2018 è stato assegnato a Denis Mukwege e Nadia Murad per il loro impegno contro l’uso della violenza sessuale come arma di guerra. Si tratta di un fenomeno particolarmente esteso che affonda nella cultura sessista e nei differenti rapporti di potere, avvalendosi della necessità di ricorrere a un passaggio, un lavoro, ed esplicitandosi attraverso forme di schiavismo e arrivando alla prostituzione. Organismi e istituzioni internazionali quali Onu, Unhacr, Consiglio d’Europa e Parlamento Europeo hanno messo in campo il progetto Asvarw Addressing Sexual Violence Against Refugee Women (Asvarw) per preparare gli operatori impegnati nelle operazioni di primo accoglimento.

Per far comprendere pienamente quanto i dati ufficiali rappresentino solo la punta dell’iceberg, si pensi che la Cooperativa Sociale Cerchi d’Acqua di Milano, ha esposto i vestiti che rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza subita. Cerchi d’Acqua raccoglie centinaia di segnalazioni all’anno, ma per comprendere appieno la gravità del problema, basti pensare che a fronte di centinaia di casi di stupri stimati, solo il 7% delle violenze sessuali viene denunciato. Un problema che affonda nella paura di affrontare un iter legislativo che scoraggia le donne a sporgere denuncia. La prima domanda posta ad una vittima di stupro? “Come eri vestita?”, questo evidenzia il forte preconcetto maschilista alla base della violenza sulle donne anche dal punto di vista inquirente. Il tema fu sviluppato nel 2013, prendendo spunto dall’omonima poesia What I was Wearing di Mary Simmerling. Il lavoro fatto è poi sfociato in un’istallazione artistica dal titolo What were you wearing? realizzata da Mary Wyandt-Hiebert, docente alla University of Arkansas, e da Jen Brockman, direttrice del Sexual Assault Prevention and Education Center presso la University of Kansas.

La violenza contro le donne si esercita anche attraverso un divario salariale che in Italia assomma a una differenza del 17,9% nel settore privato. La campagna #NoPayGap attesta che solo il 42,1% delle ragazze italiane riceve la paghetta; le donne manager guadagnano il 15% in meno dei pari ruolo uomini; le donne pensionate percepiscono il 28,6% in meno; le donne nei Consigli di Amministrazione ricevono il 69,8% in meno. Su tale argomento i numeri sono impietosi. Il World Economic Forum ha pubblicato l’annuale Global Gender Gap Report, trattasi del rapporto più attendibile su differenze e diseguaglianze tra uomini e donne nel mondo del lavoro. L’Italia risulta al 118° posto su 144 paesi nella classifica del settore economia e siamo calati anche sul versante della politica. In Italia abbiamo un tasso di occupazione femminile molto basso che oscilla tra il 47 e il 48%, da oramai troppi anni.

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