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Omicidio Noemi Durini, il fidanzato Lucio Marzo condannato a 18 anni e 8 mesi

Il 18enne reoconfesso è stato condannato dal Tribunale dei Minorenni di Lecce dove il processo si è celebrato con rito abbreviato
Omicidio Noemi Durini, il fidanzato Lucio Marzo condannato a 18 anni e 8 mesi
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Diciotto anni e 8 mesi di reclusione. È la condanna stabilita dal Tribunale dei minorenni di Lecce per Lucio Marzo, il 18enne reo confesso dell’omicidio della sua fidanzata sedicenne Noemi Durini, uccisa il 3 settembre del 2017 e il cui corpo fu ritrovato dieci giorni dopo in campagna. Il gup Aristodemo Ingusci mercoledì aveva respinto le istanze del difensore di Marzo e fissato per oggi la sentenza, arrivata poco dopo mezzogiorno. La pm Anna Carbonara aveva chiesto 19 anni e mezzo di carcere, cumulando l’omicidio e i reati connessi emersi nel corso del processo.

Il procedimento per la morte della 16enne di Specchia, in provincia di Lecceil cui cadavere venne ritrovato nelle campagne salentine di Castrignano de’ Greci sotto un cumulo di pietre, si è svolto con rito abbreviato, garantendo lo sconto di un terzo della pena all’imputato. La giovane, secondo il medico legale, morì “per insufficienza respiratoria acuta conseguente ad asfissia da seppellimento mediante compressione del torace e dell’addome”.

Noemi era quindi in vita quando il suo assassino l’ha ricoperta con delle pietre di un muretto a secco ed è morta dopo una lenta agonia. L’esame autoptico aveva evidenziato che il fendente inferto con un coltello da cucina, la cui punta è stata rinvenuta conficcata nella nuca della vittima, non è stato letale, poiché la lama non è entrata nella scatola cranica.

Secondo Vaglio, inoltre, la presenza di tagli sull’avambracciosinistro della ragazza dimostrerebbero il tentativo della 16enne di difendersi mentre le percosse al capo potrebbero aver prodotto “una commozione cerebrale” che l’aveva resa incosciente anche a causa di “una lesione laringea”. L’assassino, quindi, stando al perito, l’ha picchiata, poi ferita e ne avrebbe quindi trascinato il corpo privo di coscienza nell’uliveto per circa 5 metri per poi seppellirlo. Il peso delle pietre avrebbe provocato quindi l’asfissia e l’insufficienza respiratoria.

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