Era difficile immaginare che le parole pronunciate da Pierluigi Bersani, quando il Giglio Magico era a Palazzo Chigi ed il caso Consip e Banca Etruria erano sulle prime pagine, potessero sembrarci più che mai attuali in occasione dell’elezione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, e cioè l’uomo che con competenza e assoluto distacco da logiche ed interessi partitici dovrebbe garantire l’indipendenza e l’autonomia del potere giudiziario. Il nome di David Ermini neoeletto con soli 13 voti su 24, amico di Tiziano Renzi nonché del figlio Matteo nato a Figline Valdarno a quindici chilometri da Rignano, renziano della prima ora e con un curriculum partitico “lineare” Dc, Pp, Margherita, Pd, deputato per due legislature nonché responsabile giustizia per il partito, evoca  quella “sovrabbondanza di relazioni amicali e localistiche”, quelle “troppe cose in pochi chilometri quadrati” a cui si riferiva Bersani nel gennaio del 2016, circa un anno prima della scissione.

E rappresenta con perfetta continuità e coerenza l’avversione renzusconiana  per i magistrati indipendenti: sia quelli “troppo zelanti” e “complottisti” come Henry Woodcock che lo “angosciava” per quell'”inchiesta inquietante” contro il presidente del Consiglio, ma non si riferiva dalla mole di corruzione annidata nella centrale acquisti della Pubblica Amministrazione, sia quelli “discreti” e meno esposti ai riflettori ma critici nei confronti delle mirabolanti riforme del rottamatore, come Piergiorgio Morosini, dai quali non avrebbe mai voluto essere giudicato.

Non solo è stato eletto l’unico non togato con tessera di partito, ma curiosamente anche il più direttamente e formalmente “partitico” ricollegabile ad un ex segretario che continua a fare il bello e cattivo tempo in quello che resta del Pd, sceso secondo le rilevazioni sotto al 18%, in forza del controllo sui gruppi parlamentari ritagliati a suo piacimento grazie al Rosatellum. Così non solo per la prima volta il vicepresidente del Csm non è un consigliere eletto dal partito di maggioranza in Parlamento, ma rappresenta solo una parte all’interno di un partito in stato confusionale ed in caduta libera in attesa di un congresso finora rinviato a tempi migliori.

La convergenza sul superpolitico renziano di Giovanni Mammone di Mie di Riccardo Fuzio di Unicost, a cui sono aggiunti i voti dei vertici della Cassazione ha finito per ricomporre una specie di riedizione del modello Nazareno per l’organo di autogoverno della magistratura e cioè qualcosa di assurdo e vagamente inquietante.  Una scelta peraltro che ha totalmente disatteso le chiare raccomandazioni di Sergio Mattarella, a cui tutti si richiamano per aggirarle metodicamente, riguardo la distanza che i consiglieri togati dovrebbero tenere da “logiche di pura appartenenza”; così come “la competenza” e non l’appartenenza ad un partito  dovrebbe essere il criterio di elezione per  i componenti laici.

Non va nemmeno sottovalutato che il contributo determinante all’accordo trasversale tra le correnti con cui Ermini ha prevalso, il Csm si è spaccato e di cui Matterella avrebbe volentieri fatto a meno, è avvenuto  sotto l’oculata regia di Cosimo Ferri “tecnico di area berlusconiana” al governo con Letta, Renzi e Gentiloni, leader di fatto di Mi nonché deputato Pd di nomina renziana, un rappresentante blasonato del “modello nazareno togato“. Si è trattato di una scelta che conferma in modo purtroppo più abnorme e plateale rispetto al passato “la politicizzazione” dell’organo di autogoverno, o meglio di una parte consistente di esso, proprio a favore di quella politica politicante, trasformista e inciucista che ha sempre usato strumentalmente e pro domo sua la veemente accusa di essere politicizzati contro i magistrati indipendenti per minarne la credibilità e l’autonomia.

A brindare al successo del “patto Letta-Lotti-Ferri” è Il Foglio che coglie, con incontenibile soddisfazione, nell’elezione di Ermini “il punto debole del grillismo” e cioè, secondo una fonte interna al Pd, “la debolezza dei populisti” nel convincere i togati di garantire l’indipendenza della magistratura. E sarebbe dunque questa, almeno secondo l’acutissimo Cerasa,  la spiegazione del perché “i polli hanno messo la classica volpe a guardia del pollaio” come ha perfettamente registrato Marco Travaglio.

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