di Derek
Basta con queste menate su Starbucks.
Per chi viaggia spesso è un’ancora di salvezza: uno dei pochissimi modi di fare una colazione dolce e arrivare all’ora di pranzo senza pranzare di prima mattina. Lo so, per chi è cresciuto come noi in mezzo a bar pieni di paste fresche e cappuccini profumati è difficile – inizialmente capire – ma poi ci arrivi e se viaggi ti trovi quasi sempre a fare colazione lì (se il tuo hotel non ha la colazione continentale inclusa)
Il chocolate croissant costa 3 dollari, ed è identico per forma e sapore di quello del banco del pane del Lidl che costa 49 centesimi e poi è un saccottino. Ma chi se ne frega quando l’alternativa – alle 8 di mattina – è un piatto con uova al bacon e una spruzzata di ketchup.
La schiuma del loro “cappuccino” (small-medium-large???) è di una densità sconosciuta alla scienza. Lo zucchero impiega due minuti a depositarsi sul fondo, ma quando ce la fa e mescoli tutto il beverone (il cappuccio è nella sezione beverages del menù) da 6 dollari che ne ottieni sicuramente meglio di una coca ghiacciata o di mezzo litro di caffè americano (quello che mantiene una temperatura da ustione per un tempo indefinito).
I locali sono accoglienti, decentemente puliti, c’è il wifi gratis dai tempi in cui te lo facevano pagare in gettoni d’oro e ti puoi ricaricare il cellulare senza che il gestore ti guardi con sospetto o arrivi a minacciarti, anzi ora ci sono spesso pure le porte Usb.
L’unica cosa da italiano che mi sentirei di vietargli (almeno nei punti che apriranno da noi) è l’uso di “Espresso” e “Cappuccino“. L’espresso vero – lo sappiamo – ha due misure: normale e ristretto. Non small (il doppio del nostro normale), medium e large. Fate due prodotti diversi. Chiamateli come volete ma non così: quella è quasi pubblicità ingannevole. Le prime volte ci rimaniamo male e per noi pagare un prodotto largamente peggiore di quello a cui siamo abituati il triplo del prezzo cui lo paghiamo quotidianamente è effettivamente uno smacco.
Noi però invece di prendercela con Starbucks per la sua diffusione planetaria e per il costo dei suoi prodotti dovremo chiederci perché noi – inventori dell’espresso e del cappuccino – non siamo stati capaci di fare una cosa simile. Nel 1989 c’erano appena 46 punti vendita negli Stati uniti, dopo neppure 30 anni sono quasi 30 mila nel mondo. Noi avevamo il prodotto migliore, che infatti gli altri scimmiottano facendolo diventare un successo planetario. Il nostro provincialismo, che ci porta a criticare è lo stesso che ci ha impedito – forse – di cogliere le giuste opportunità.
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