Che cos’è la patafisica? A che che cosa serve? Alfred Jarry parla di una scienza delle soluzioni immaginarie, Fernando Arrabal la descrive come la matematica del caos. La patafisica è assurda ma non irragionevole, rimescola le carte della nostra percezione, capovolge il mondo, dona un senso ulteriore, confonde le acque per salvarci dagli annegamenti, per toglierci il cappio di una razionalità a senso unico, per liberarci dalla morsa della logica, ma nello stesso tempo la patafisica è strutturata, razionale, ma non in modo tale da essere vittima della ragione, c’è una ragione ancora più profonda della ragione stessa, una logica che si cala negli abissi e non li teme.

La patafisica non è campata in aria, al contrario, si muove tra le macerie dei significati terrestri, sempre Jarry scriveva: “Bisogna distruggere anche le macerie per distruggere veramente”. Per immaginarsi un patafisico si deve pensare a un giocatore di scacchi. Ma non un giocatore di scacchi qualsiasi, lo scopo è dare scacco matto all’Assoluto e se ne esce sempre sconfitti. Ma è una sconfitta che risana, che rimargina le ferite di una visione univoca della realtà.

Per un patafisico i gatti possono avere sei zampe, in una notte di pioggia, attraverso un vetro rigato dall’acqua, le zampe del gatto sono “realmente” più di quattro. La realtà non ha nulla di reale, la realtà non è realistica, per un patafisico l’immaginazione ha la stessa consistenza reale di un macigno, ma un macigno alato. La segnaletica delle nostre percezioni viene stravolta e ci troviamo in un territorio ignoto, per questo la prima dote di un patafisico è il coraggio e il senso dell’avventura.

Si varcano i confini della quotidianità, attraversiamo lo specchio e ci accorgiamo che l’identità non è mai identica a se stessa, tutto scorre, tutto fluisce e zampilla verso il cielo e un patafisico che si rispetti si gode lo spettacolo pirotecnico delle proprie effusioni mentali, contro tutto ciò che ci vuole statici, congelati, come le bocche fermissime dei morti. Un patafisico è semplicemente un uomo che sa di essere vivo e che sa che la vita non è codificabile.

Recentemente sono stato a San Miniato, invitato da Andrea Mancini, organizzatore di un bellissimo festival della cultura, e ne ho approfittato per fare questo film ritratto a Fernando Arrabal, uno degli ultimi patafisici ancora in vita. Su Arrabal si potrebbero dire infinite cose, lascio a voi la curiosità, se volete, di approfondire. Posso raccontarvi un aneddoto: è molto legato ai suoi doppi occhiali, una mattina si è dimenticato un paio di occhiali in albergo, ha fatto il diavolo a quattro, come un bambino capriccioso, e si è fatto riportare in albergo, facendo impazzire la figlia che lo segue con amore e con timore.

Poi ci siamo fatti una passeggiata per San Miniato e Arrabal fermava tutti chiedendo: “Lei è svedese?Lei è polacco? No? Strano, ha proprio l’aspetto di uno svedese o di un polacco”. Non è una supercazzola come potrebbe sembrare in un primo momento, è qualcosa di molto più profondo: è la patafisica in azione, la scienza delle identità immaginarie, delle soluzioni che fanno l’amore con i problemi, dei problemi che non esistono non appena si alzano gli occhi al cielo e tutto diventa puro.

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