C’è chi mi difende con argomentazioni molto competenti e pacate, e chi mi attacca pesantemente, talora anche con epiteti, alcuni dei quali persino fantasiosi, poi gli fanno eco gli altri… che non cito solo perché posso scrivere per ogni post 4500 battute e non di più. Non mi ricordo da chi derivi quella che immagino sia una parola chimerica nata dalla crasi di sciamana e alchimista: sciachimista.

Mi hanno definita anche così, e mi ha divertita, oltretutto il prefisso “scia” può stare per sciamana ma anche per sciamannata… (chissà i commenti a questa mia ipotesi).

Beh! comunque se non rivendicano il copyright “sciachimista” lo adotto come nuova definizione del medico integrato da proporre agli Atenei universitari dove insegno. Anzi preferirei scialchimista, con la “l” di alchimia che è pure eufonica.

E staremo a vedere… magari salta fuori il corso di laurea (magistrale si intende) in Scialchimia, rigorosamente integrato.

Sorrido: quando scrissi il mio primo post arrivarono valanghe di commenti (l’avrete capito, “la whitelist e gli altri” sono i commentatori dei miei post) e alcuni di questi di apprezzamento, altri, di critica a volte feroce e anche prevenuta. Ci restavo male, soprattutto quando mi accorgevo che ciò che avevo scritto era stato frainteso, equivocato sulla base di credenze personali o distorto, magari estrapolando una frase dal contesto.

D’altra parte tutti i grandi della comunicazione insegnano che chi comunica è responsabile di ciò che agli altri arriva. Allora ponevo maggiore attenzione ad ogni frase, ma la dinamica era più o meno la stessa, perché, volendo, ogni affermazione può essere utilizzata secondo i fini di chi la cita.

Altri autori di post mi consigliavano di non stare a rispondere ai commenti giudicanti o distorti, anzi di non leggere affatto alcun commento e lasciare andare, inizialmente è ciò che ho fatto, ma non mi piaceva. Perché troppo spesso la gente fugge dalle contraddizioni, raccontandosi che mette in pratica il “lasciare andare” tipico delle tradizioni spirituali orientali. Io non volevo fuggire: non tanto dai commenti, ma da me stessa. Se temevo di leggere un insulto o soffrivo per un giudizio infondato, allora quegli insulti e quei giudizi sebbene infondati e prevenuti erano affar mio.

Allora ho cominciato a rileggerli, con la voglia di scoprire ancora qualcosa di me, avendo una sorta di timore di quel che ci poteva essere scritto e al contempo la sicurezza di ciò che sono e ciò che faccio, tanto da potermi permettere anche di tollerare i dubbi, le critiche e gli attacchi. Così ho scoperto che mi facevano male solo alcune critiche e non altre, magari anche peggiori. Erano quelle che toccavano i miei valori, ciò in cui credo più fermamente.

Mi faceva dispiacere il fatto che quei valori a cui sono devota, l’integrazione in medicina, la divulgazione coraggiosa delle scienze di frontiera, la libertà di scelta nelle cure venissero da alcuni del tutto distorti e la serietà di medico e ricercatore, a cui tengo e per la quale mi impegno, costantemente messa in dubbio. Il passo successivo è stato poter tollerare anche questo, il che ha significato liberarsi anche di questa identificazione: ogni volta che ci identifichiamo con qualcosa, per quanto buono sia, come in questo caso nel ruolo del medico coraggioso e innovativo, perdiamo potere e limitiamo la nostra vitalità. Così ho cominciato a ridere di me, delle reazioni della “Dottoressa”, e più ho permesso che i commenti aggressivi mi facessero vedere l’identificazione con il ruolo, più mi divertivo a smettere di esser ferma in quel ruolo. Così ho scoperto che la non identificazione e l’incertezza danno la libertà del mutamento, della presenza, aumentano la forza di andare avanti e la creatività.

Perché liberano dalla dipendenza dal giudizio e dal bisogno di approvazione.

Poi mi sono ricordata di alcuni passaggi del libro di Stefano D’Anna, La scuola degli dei, che lessi tanto tempo fa: “Quando ti criticheranno per un tuo progetto o un tuo sogno sarà un buon inizio e quando verrai deriso avrai la certezza che la strada è quella giusta”.

Dunque grazie in egual misura ai detrattori e agli estimatori, essenziali entrambi. I primi per metterti di fronte a ciò che ancora non hai visto di te, i secondi per darti la forza di guardarlo.

Diceva bene Jung quando affermava che: “L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito”.

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