di Aurora Di Benedetto

“Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo. In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito ‘dell’insegnare ad apprendere’ quello ‘dell’insegnare a essere’”. (Indicazioni nazionali per il curricolo)

È sconfortante leggere questi passi delle Indicazioni nazionali dai quali emerge chiaramente la difficoltà educativa delle famiglie, per cui la scuola deve in un certo senso assumere su di sé il compito di coadiuvare le famiglie nell’educare le nuove generazioni al rispetto delle regole infondendo loro il senso del limite. Quale errore sta alla base di tali difficoltà? Non essendo una sociologa, faccio delle ipotesi senza alcuna pretesa di esattezza o esaustività.

La relazione genitori-figli è per sua natura una relazione asimmetrica, i ruoli sono diversi; il genitore è la persona compiuta in cui inizialmente il minore si identifica e alla quale poi in adolescenza si contrappone sviluppando in questo modo una propria identità. Molti genitori, aderendo alla moda del genitore-amico, trasformano coartatamente quella relazione in simmetrica privando il proprio figlio di un punto di riferimento necessario per la sua crescita, privandolo anche dei limiti e delle regole che sono indispensabili per non vivere nel caos e per sperimentare la libertà vera. Inoltre alcuni genitori sono psicologicamente fragili, sono terrorizzati dalla possibilità che i loro figli non li amino o che smettano di amarli e così i no che pronunciano son davvero pochi e anche poco convinti.

Effetti: quando va bene mamme che in lacrime chiedono alla maestra come fa a farsi ascoltare dal pargolo che ormai a casa tiranneggia mamma e papà. Quando va male genitori che intimano ai docenti di essere indulgenti con i loro figli perché una presa di posizione netta potrebbe ferire la loro sensibilità. Quando va ancora peggio genitori inferociti aggrediscono il docente che ha osato riprendere il principino di mamma e papà.

Come uscire da questa empasse? È  difficile e soprattutto è un percorso che va iniziato prestissimo ovvero al primo contatto del bambino con la scuola. Dobbiamo far comprendere ai genitori che noi e loro abbiamo lo stesso obiettivo: il bene del bambino. Tenendo presente ciò dobbiamo stringere una alleanza di ferro. Ci possono essere dei disaccordi e delle incomprensioni come in ogni rapporto, ma in queste non deve mai essere coinvolto il bambino. Il bambino non deve mai sentir parlar male del docente dai propri genitori così come non accadrà mai il contrario.

Stanti queste premesse, quando si presenta un problema bisogna parlare chiaro con i genitori, coinvolgendo l’alunno in prima persona perché è di lui che si sta parlando e bisogna richiamarlo alle sue responsabilità. Mi capita spesso di dire all’alunno in presenza del genitore: “Tu sei un bambino intelligente e io a volte mi arrabbio con te perché non voglio che tu sprechi questo dono. Se non ti ritenessi capace di fare una cosa non mi arrabbierei, accetterei i tuoi limiti ma tu questi limiti non li hai, puoi riuscire! Quello che fa la differenza è il tuo impegno, la tua volontà… solo questo!” Non sono parole magiche, ma danno il via a un processo lungo e impervio in cui il bambino, il genitore e il docente sono tutti alleati per un unico fine.

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