di Cristina Zibellini

E’ mia opinione che ci sia un altro modo di affrontare l’arrivo dei migranti. Invece di cercare di respingerli, possiamo organizzarci per accoglierli. La difficoltà di realizzare una politica di chiusura potrebbe essere risolta con scelte politiche che richiedono un grande impegno della macchina amministrativa.

Sappiamo che quasi tutte le funzioni amministrative che erogano servizi sono state privatizzate, senza che questo abbia reso gli iter meno lunghi e maggiormente al riparo da corruzione e clientele, e non ultimo, conducendo alla diminuzione drastica delle risorse economiche e umane. Per questo l’arrivo di persone, per lo più dall’Africa che, come ha scritto qualche giorno fa Massimo Fini “vengono per fame” da un terra “aggredita dall’integrazione economica occidentale” e in questo modo privata dell’autosufficienza alimentare, può essere l’occasione per gli Stati e le istituzioni europee, di rivedere in toto la politica economica e la gestione dei servizi, lavorando perché essi funzionino per tutti.

Sarebbe, però, da ingenui credere che le condizioni di insufficiente cura, fino al degrado, di molti quartieri di città non solo italiane – non dimentichiamo le banlieue, la Grenfell Tower, il grattacielo dei poveri – siano l’effetto di cattiva amministrazione. E’ l’idea di una società meritocratica sposata soprattutto dalla sinistra, fondata su un sistema economico neocolonialista, che come dice Carlo Freccero, “disprezza il popolo in quanto incapace di conseguire risultati economici”, dunque non baciato dalla grazia divina (Weber insegna). Questo sistema, per sua stessa natura, non può prendersi cura realmente di milioni di cittadini, ma può permettersi a parole di essere dalla parte dei migranti, che, ancora Freccero (il Manifesto 12.06.18) “non risiedono in via Montenapoleone e non portano via lavoro agli amministratori delegati”. In realtà, non sono i gruppi sociali più emarginati, quelli con la maggiore insofferenza razzista. Semplicemente nelle realtà urbane più periferiche non arriva il giornalista siriano, l’atleta nero, bello e vincente.

A proposito dell’incontro con il diverso, il folle, il giornalista Nino Vascon ricordava (nell’introduzione documentaria al libro L’istituzione negata a cura di Franco Basaglia) come come “il bianco culturalizzato si pone di fronte al problema negro dando libero sfogo al suo senso di colpa […] e attenua questo sentimento attraverso la accettazione, conoscenza e ammirazione per la poesia negra, per il canto negro, per la élite negra. A livello borghese il negro poeta, musicista, scrittore è – direbbe Fanon – meno nero del facchino, del venditore di tappeti, del contadino africano”.

La politica dell’Europa democratica è stata, come è di tutta evidenza, falsamente inclusiva nei confronti non solo dei migranti, ma anche di tutti i cittadini, con particolare indifferenza proprio nei confronti delle periferie, intese anche in termini di territori nazionali (sud) e di nazioni (Grecia), rendendosi responsabile, con l’ignavia e l’ipocrisia, del riprendere forza di atteggiamenti di chiusura, là dove la vicinanza con il nero povero, lo zingaro o il diseredato, aggrava condizioni di vita già precarie, non soddisfacenti e insicure, permettendo a diffidenze autentiche e a paure indotte e strumentali di canalizzare la generale difficoltà di vivere in questo mondo intimamente violento.

L’autoesaltazione dei risultati ottenuti non ha convinto, ricordava Napolitano, rispetto ai risultati elettorali, puntando il dito sui “forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti, comprendenti famiglie del popolo e della classe media”. La strada, tuttavia, non è quella di sforare vincoli di bilancio per nuove politiche dei consumi, ma di una seria politica di austerità, che faccia a meno del superfluo, sottraendo la terra e i suoi abitanti al destino di idioti sudditi dei mercati.

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