Non è ancora arrivato l’esito dell’esame dello stub, ma gli inquirenti di Vibo Valentia hanno cambiato nel giro di poche ore lo status di Antonio Pontoriero, l’agricoltore di San Calogero accusato di aver ucciso il 2 giugno Saumayla Sacko, il 29enne migrante del Mali sorpreso mentre si trovava in un terreno abbandonato dove stava prelevando delle lamiere di alluminio. Pontoriero, che era indagato, è stato fermato. Le manette sono scattate nella notte quando, al termine di un’attività di indagine, la procura della Repubblica di Vibo Valentia ha valutato che c’erano elementi per procedere al fermo. La procura contesta l’omicidio e porto e detenzione illegale di arma. Il43enne era stato iscritto nel registro degli indagati già nelle ore immediatamente successive al delitto alla luce delle dichiarazioni dei due maliani che erano con la vittima e alla corrispondenza delle loro descrizioni con le caratteristiche somatiche, il tipo di abbigliamento e l’auto posseduta, una Fiat Puto bianca. “Abbiamo dato una risposta pronta e nel più breve tempo possibile”. È l’unico commento del procuratore capo di Vibo Bruno Giordano. L’inchiesta, coordinata dal pm Luca Ciro Lotoro, ha spalancato le porte del carcere al nipote di uno dei soggetti ai quali diversi anni fa è stato sequestrato il terreno dove è avvenuto l’assassinio del sindcalista. La procura al momento non si sbilancia sul movente della sparatoria in cui è stato ucciso Sacko e sono stati feriti i due migranti. Si sa che Pontoriero, nella zona, viene ritenuto una testa calda e con qualche frequentazione con soggetti legati alla cosca Mancuso. Il movente, se è razzista, lo spiegherà quando i magistrati e i carabinieri di Vibo Valentia lo interrogheranno.

Il fermato denunciò i furti nell’area dell’ex Fornace
Per gli inquirenti è “stata una vendetta contro i continui furti ad aver armato la mano” di  Pontoriero. Vendetta motivata, secondo quanto hanno ribadito i carabinieri, per la continua presenza di extracomunitari in quella che il presunto autore dell’omicidio riteneva fosse ancora una sua proprietà. Lo scorso 5 maggio, alla Stazione carabinieri di San Calogero, giunse una telefonata che segnalava una serie di furti nella zona. Il personale dell’arma che, una volta sul posto, identificò alcune delle persone che avevano effettuato la chiamata, tra le quali vi era proprio Pontoriero. Il suo volto venne quindi memorizzato dai militari che, subito dopo l’omicidio, sottoposero la foto dell’uomo – insieme ad altre 11 – al testimone oculare del delitto, connazionale della vittima, che lo riconobbe. L’attività investigativa partì e si sviluppò con il sequestro della Fiat Panda dell’indagato, la stessa descritta dal maliano, e degli indumenti (jeans e maglietta) per essere spediti agli esperti del Ris di Messina.

I tre braccianti erano entrati nel terreno abbondonato per prendere delle lamiere d’acciaio che servivano a costruire una baracca. Non sapevano che l’ex Fornace era sotto sequestro nell’ambito di un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti. Sotto la fabbrica di mattoni, infatti, secondo la Guardia di finanza, sono interrate 135mila tonnellate di rifiuti tossici provenienti pure dalla centrale Enel di Brindisi. Una discarica abusiva finita al centro dell’inchiesta “Poison” in cui, tra gli indagati, era finito proprio uno zio di Antonio Pontoriero.

Attesa per gli esiti dello stub
A breve il Ris di Messina copnsegnerà l’esame dello stub (per stabilire la presenza di polvee da sparo) sui vestiti indossati dall’uomo quando è stato portato in caserma e che erano stati riconosciuti durante un confronto all’americana dai due migranti feriti. I testimoni dell’omicidio hanno indicato anche le prime lettere della targa dell’auto con cui il killer si è dileguato dopo l’attentato. Targa e modello corrispondono con quella sequestrata dai carabinieri a Pontoriero.

Nelle prossime ore, inoltre, gli inquirenti potrebbero risalire, se ci sono, ad eventuali complici o soggetti che avrebbero aiutato Pontoriero. Resta da capire se il movente legato alla storia dell’ex Fornace in cui è stato coinvolto lo zio dell’indagato. Quest’ultimo sembra non avere contatti recenti con la ‘ndrangheta che, nel vibonese, è sinonimo di cosca Mancuso. Piuttosto viene definito una “testa calda”. Nel 1995 un suo cugino omonimo è stato ucciso a 16 anni per il furto di un autoradio. Il nome dell’agricoltore, però, compare nelle carte dell’inchiesta “Dinasty”: nel 2001 è stato controllato a un posto di blocco in compagnia di Giuseppe Mancuso, esponente di primo piano della famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi e, soprattutto, figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto “zio Luni”.

Al netto dell’inchiesta, che potrebbe riservare sviluppi, l’omicidio di Saumayla Sacko ha posto al centro del dibattito politico il ghetto di San Ferdinando che, nei mesi invernali interessati dalla raccolta delle arance, ospita oltre 2mila migranti. Il ghetto di Rosarno e San Ferdinando è stato analizzato nel rapporto “Filiera sporca” redatto dall’associazione “Terra”: “Quella che a prima vista – scrive il presidente Fabio Ciconte – appare come un’emergenza umanitaria è in realtà il frutto di un vero e proprio sistema di produzione”. Il 4 giugno in un una manifestazione i lavoratori hanno ricordato che per la loro “la pacchia non è mai esistita”. 

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