Bancarotta fraudolenta per l’Alitalia dell’era Etihad durante la presidenza di Luca Montezemolo. Con questa ipotesi di reato la procura di Civitavecchia ha disposto martedì 22 maggio la perquisizione da parte della Guardia di Finanza della sede Alitalia di Fiumicino. Una mossa che potrebbe avere pesanti strascichi anche per Midco, la holding delle banche e dei soci italiani presieduta all’epoca dall’attuale commissario Alitalia Enrico Laghi.

L’ispezione delle Fiamme Gialle è stata decisa dalla magistratura sulla base dalla sentenza del Tribunale di Civitavecchia che l’11 maggio 2017 ha dichiarato l’insolvenza dell’ex compagnia di bandiera. Dall’analisi dei documenti depositati, secondo la procura, sono, infatti, emerse una serie di criticità e anomalie nella vecchia gestione Alitalia in cui Etihad, fra il primo gennaio 2015 e il 2 maggio 2017, aveva un ruolo di primo piano con 49% del capitale, ma il controllo era in mano ai soci della Cai-Midco (51%) fra cui Unicredit, Intesa, Mps, Poste e altri azionisti privati come Atlantia. In particolare, secondo quanto riferisce Il Corriere della Sera del 23 maggio, nel provvedimento del tribunale di Civitavecchia viene preso come punto di partenza “l’ultimo bilancio depositato che registra una perdita d’ esercizio pari 408 milioni di euro e un rapporto di 1 a 2 tra attivo circolante e debiti”. Inoltre si tiene conto di una “situazione patrimoniale aggiornata al 28.2.2017 che riporta un patrimonio netto negativo di 111 milioni di euro, perdite – solo nel periodo che va dall’ 1 gennaio 2017 al 28 febbraio 2017 – per 205 milioni di euro e un rapporto di 2 a 5 tra attività e passività correnti, evidenziando il perdurare di una situazione di oggettiva impotenza economica di natura non transitoria”.

E pensare che proprio l’era Etihad era stata salutata da Montezemolo e dall’ex premier Matteo Renzi come la soluzione a tutti i mali della compagnia aerea. “Allacciatevi le cinture, Alitalia decolla” aveva detto Renzi il 4 giugno del 2016 in occasione della presentazione della nuova livrea della compagnia aerea. E, invece, a distanza di due anni, siamo di nuovo punto e a capo. Se non peggio visto che ora c’è anche l’ipotesi di bancarotta per la gestione antecedente il commissariamento, periodo in cui il consiglio era composto da otto persone. Oltre ai tre manager Etihad (Cramer Ball, dal vicepresidente James Hogan e da James Rigney), in cda c’erano infatti anche Montezemolo, Giovanni Bisognani, Federico Ghizzoni, Gaetano Miccichè, e l’attuale commissario Luigi Gubitosi che venne nominato a marzo 2017 con la designazione a presidente condizionata dall’ok dei dipendenti al referendum, poi rigettato. Gubitosi, in seguito nominato commissario dal ministro Carlo Calenda, non era però l’unico manager ad aver avuto un contatto con la vecchia squadra Alitalia: c’era anche Enrico Laghi che era presidente di Midco e consigliere di Cai.

Si complica quindi ulteriormente la situazione dell’ex compagnia di bandiera che è al centro del dibattito politico con il commissario Gubitosi che ha chiesto al futuro governo di “fare in fretta a prendere una decisione”. Anche perché il carburante è poco e “non se ne esce senza investire – ha spiegato martedì 22 maggio il manager nel corso di un convegno della Cisl sul trasporto aereo – Qualunque sia la scelta: non si può prescindere da un investimento di capitale significativo”. A questo punto, dopo l’ok della Commissione speciale del Senato, si attende a breve il via libera alla conversione del decreto che fa slittare al 31 ottobre la scadenza della vendita di Alitalia e al 15 dicembre il termine ultimo per la restituzione del prestito ponte da 900 milioni concesso dal Mise. Prestito su cui, tra l’altro, sta indagando l’Unione europea che teme gli aiuti di Stato.

Intanto, nell’ambito dei lavori della commissione speciale, è emerso che “Alitalia rappresenta uno dei principali asset del Paese” come ha dichiarato in una nota il senatore di LeU, Vasco Errani, membro della commissione speciale di Palazzo Madama. Sulla base di questa considerazione, Errani ha chiesto e ottenuto l’approvazione di due ordini del giorno che hanno “impegnato il Governo a prevedere l’ingresso dello Stato direttamente, o tramite società controllate, nel capitale dell’azienda per almeno il 25%” come ha puntualizzato il documento. “È questo l’unico modo di arrivare a un’adeguata partnership industriale internazionale per Alitalia, promuoverne il rilancio e garantire l’integrità delle attività dell’azienda” ha evidenziato Errani aggiungendo che “il fallimento di Alitalia non è infatti un destino inevitabile. Ma per impedirlo è necessario un intervento dello Stato”. Prima però i parlamentari vogliono conoscere la reale situazione finanziaria che, sulla base di un emendamento del relatore Mario Turco (M5s), dovrà essere delineata dai commissari entro 60 giorni dalla conversione del decreto mettendo in evidenza “i dati riferiti ai contratti aziendali in corso di fornitura carburante, di leasing e di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché ai contratti di servizi esternalizzati maggiormente rilevanti”.

Analoga richiesta di trasparenza e chiarezza è del resto venuta anche da LeU che ha domandato “una relazione esaustiva sugli atti degli amministratori al fine di accertare fino in fondo se vi sono le ragioni per una conseguente azione di responsabilità”. Parole che pesano come macigni sulla gestione della Etihad che avrebbe voluto fare di Alitalia la “compagnia più sexy d’Europa”. E l’ha invece poi abbandonata al suo destino. Con la prospettiva di una vendita a pezzi e di una nuova ondata di esuberi che rischia, ancora una volta, di costare cara alle casse pubbliche.

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