Il naufragio del 18 aprile 2015 è stato dimenticato da tanti forse perché, per ricordare, tutti noi abbiamo bisogno di creare nelle nostra mente un’immagine con la quale mettersi in relazione. In modo cosciente è forse impossibile in questo caso, perché è insopportabile entrare in relazione con l’immagine di uno strato di materiale biologico alto quasi un metro e lungo 23 metri, tanto quanto la lunghezza della nave. Per provare a elaborare il lutto occorre staccarsi da un oggetto. L’immersione in una massa di tessuti umani credo provochi come reazione quella della fuga. Perché il rischio di restare immersi in questa morte senza forma individuale è tremendo e forse impossibile.

Siamo abituati a dare un nome a tutte le cose, a trovare una spiegazione a tutto. A volte solo per dare una colpa agli altri o a noi stessi. Per trovare dei responsabili.

Io, davanti a questa immagine di materiale biologico che prende la forma di una nave, non riesco a trovare nessuna definizione, nessuna parola, nessuna immagine. Sento fastidio e dolore e non riesco ad immaginare nulla.

La fantasia vola in alto per non restare impigliata e per non naufragare. Vedo occhi, labbra, braccia, gambe che non sono più di nessuno. Di chi erano?

La risposta a questa domanda potrebbe fare la differenza.

La risposta a questa domanda dovrebbe rimettere insieme occhi, bocche, braccia, gambe. Rimettere insieme un individuo e dare a lei o lui un nome. Donna, Uomo o bambino. Poi allora sarebbe possibile pensare alle loro personalità, voglie, desideri, sogni. Chi erano? 

Tutto naufragato.

L’unica immagine con cui riesco a fare i conti è quella dei pompieri. Che si sdraiano su questi “corpi” per non calpestare un’idea di essere umano che resta nella loro mente. Perché la loro regola è “non mettere i piedi sui morti”. In un mondo che ha messo i piedi sui migranti quando erano vivi.

Che i vigili del fuoco italiani sono i migliori dl mondo lo sapevamo e ce lo ha detto anche il World of Firefighters che li ha premiati nel 2016. Credo a loro si debba anche un premio speciale da parte delle Nazioni Unite proprio per il naufragio del 18 aprile 2015, per avere trattato materiale organico indistinto con il rispetto capace di chi resta umano. Facendo l’altro umano.

Un premio delle Nazioni Unite a chi è stato capace di mantenere un’idea e un’immagine di vita dove vince naufragio e perdita di tutti i confini dell’umano.

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