Il primo “round” inizia la mattina alle sei con stracci e secchi d’acqua che pesano fino a quaranta chili. Due ore e mezza di tempo per pulire bagni, corridoi, camerate, lucidare atri e scale, poi via in bus verso un altro “cantiere” prima di pranzo. Il terzo è fissato nel pomeriggio, fuori città. Veronica (nome di fantasia), 47 anni, da venti lavora a Bologna come addetta alle pulizie. Tre contratti part time per tre aziende diverse che sommati fanno in tutto 23 ore di lavoro a settimana e uno stipendio annuale sotto la soglia di povertà. “Nel 1995 lavoravo 40 ore a settimana per un unico committente. Poi con gli anni il lavoro è calato sempre di più e la situazione è precipitata – racconta a ilfattoquotidiano.it – Mi sono ritrovata a dover prendere sempre più lavori per andare avanti. Se ai tempi d’oro potevo contare su uno stipendio di un milione e quattrocentomila lire al mese, oggi a malapena supero i 500 euro nei mesi più lunghi, quelli con uno-due giorni lavorativi in più. E con l’età che avanza accettare nuovi incarichi diventa sempre più difficile perché non ce la fai fisicamente”.

In Italia sono circa 500mila gli impiegati del comparto “Imprese di pulizie e Multiservizi”, di cui oltre la metà, il 62%, sono donne. Lavoratori “invisibili” che operano negli ospedali, dove si occupano dell’igiene dei locali, del trasporto di malati e di emoderivati e della distribuzione dei pasti, negli asili, nelle case di riposo, nelle scuole, con una paga oraria che varia dai 6,70 euro a poco più di 9 euro lordi in base alle mansioni. Il lavoro è gestito da cooperative o aziende appaltatrici di tutta Italia che “vincono le gare al ribasso – racconta Veronica – Si risparmia su tutto, anche su detersivi e materiali. Spesso noi addetti alle pulizie ci ritroviamo tra l’incudine e il martello. Da un lato gli enti presso cui operiamo ci chiedono di anticipare di tasca nostra gli strumenti di lavoro e pretendono di ottenere, con 7 ore di lavoro settimanali gli stessi risultati di quando ce ne commissionavano 40, dall’altro i nostri datori di lavoro ci dicono di arrangiarci”.

Per riunire attorno a un tavolo aziende e lavoratori, e chiedere un rinnovo del contratto nazionale scaduto quasi cinque anni fa, lo scorso 8 gennaio i lavoratori di Bologna e provincia hanno organizzato un flash mob. “Abbiamo scritto simbolicamente circa 900 letterine alla Befana e le abbiamo consegnate a tre aziende del nostro territorio, “L’Operosa” (in rappresentanza di Confcooperative), “Manutencoop” (in rappresentanza di Legacoop) e “Unindustria” per riunire tutti attorno a un tavolo”, spiega Pier Paolo Carioli della Filcams Cgil Bologna. Allo stato attuale non esiste ancora un tavolo di trattativa per questi contratti, tra i più poveri del settore”. In attesa che vengano definite nuove iniziative di mobilitazione a livello nazionale, “Chiediamo solo stipendi proporzionati alla vita reale”, conclude Veronica, che per arrotondare nel fine settimana tiene i bambini agli amici o porta a spasso i cani, “Un regalo meraviglioso sarebbe questo per tutte noi”

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