Dagli Stati Uniti a Russia e Cina: il 2018 sarà l’anno dell’assalto al Circolo polare Artico. Una corsa accelerata dallo scioglimento dei ghiacci. Lo ha già annunciato a più riprese il presidente Vladimir Putin e lo dimostra la decisione di Donald Trump di mandare al macero un altro pezzo della politica ambientalista di Obama. L’inquilino della Casa Bianca ha spianato la strada ai petrolieri: su sua indicazione il governo concederà nuove autorizzazioni per l’estrazione di greggio e gas al largo di quasi tutte le coste degli Stati Uniti. La decisione del dipartimento dell’Interno, che si occupa di gestire le risorse naturali, riguarda un’area di oltre 4 milioni di chilometri quadrati tra Oceano Atlantico, Oceano Pacifico e Mar Glaciale Artico. E anche nelle acque di Florida e California, per la prima volta dopo decenni. Le concessioni dureranno cinque anni, dal 2019 al 2024. Questo nonostante i prezzi del petrolio non siano certo un incentivo per l’estrazione offshore. Avviene tutto negli stessi giorni in cui, grazie ad autorizzazioni arrivate negli anni sia da Stati Uniti (anche nell’era Obama) sia da Alaska, l’italiana Eni ha iniziato a trivellare in cerca di petrolio a Oliktok Point, località che affaccia sul Mare di Beaufort, la stessa da cui aveva provato nel 2015 anche la compagnia anglo-olandese Shell, prima di arrendersi davanti a difficoltà tecniche e vincoli ambientali.

IL VIA LIBERA DAL GOVERNO USA – È stato lo stesso segretario agli Interni, Ryan Zinke, a confermare che la bozza del programma di leasing 2019-2024 per il settore oil & gas consentirà di trivellare in oltre il 90% della piattaforma continentale subacquea disponibile. Per capire di che cambiamento si tratta, basti pensare che la politica di Obama tutelava il 94% dell’area offshore di competenza della nazione, lasciando solo il 6% delle stesse zone aperte alle prospezioni e proteggendo 46,5 milioni di ettari al largo dell’Alaska e 1,5 milioni di ettari dal New England alla baia di Chesapeake. La Casa Bianca apre così a 19 concessioni al largo delle coste dell’Alaska, 7 nel Pacifico, 12 nel Golfo del Messico e 9 nella regione atlantica. Sono esclusi solo il Bacino Aleutine in Alaska e la Baia di Bristol. Nel frattempo, proprio in questi giorni, sono iniziate le operazioni dell’Eni in Artico, non su una piattaforma offshore, ma su un’isola artificiale, Spy Island, nei pressi della baia di Prudhoe. La società italiana è la prima autorizzata a cercare l’oro nero nelle acque dell’Alaska dal 2015. Al momento le operazioni sono esplorative, ma il petrolio c’è.

LA PROTESTA  – Il via libera della Casa Bianca ha scatenato le proteste da parte degli ambientalisti, ma anche degli Stati (anche Repubblicani) interessati direttamente da questa scelta. In prima fila c’è la Florida: sono passati quasi otto anni dal disastro ambientale della Deep Water Horizon nel Golfo del Messico, avvenuto nel 2010. Undici morti e milioni di barili di petrolio sversati sulle coste. Secondo uno studio pubblicato su Science sono stati provocati 17,2 miliardi di dollari di danni alle risorse naturali. Anche in seguito a quei fatti, l’ex presidente Barack Obama decise di aumentare la regolamentazione del settore. Ed ora il governatore repubblicano Rick Scott ha già annunciato che non si arrenderà così facilmente, chiedendo un incontro con il segretario degli Interni Ryan Zinke. Sono una decina gli Stati già sul piede di guerra a causa delle nuove autorizzazioni.

LA ‘MISSIONE POLO NORD’ DI PUTIN – Se da un lato Trump deve rispondere agli Stati preoccupati per le conseguenze di questo cambio di rotta, dall’altro non può fare altro che guardare come altre Nazioni già da tempo cerchino di contendersi un ruolo strategico nel nuovo snodo per il commercio globale aperto dallo scioglimento dei ghiacci dell’Artico. Come ricordato su FQ Millennium, per esempio, uno degli obiettivi del Cremlino per il 2018 è proprio quello di puntare al controllo del Circolo polare. Il primo bersaglio di Putin sono le rotte mercantili necessarie a sviluppare l’industria cantieristica navale e i trasporti. Agli inizi di dicembre, in occasione della cerimonia di battesimo dell’impianto di liquefazione di gas naturale della Novatek (la più grande impresa russa indipendente produttrice di gas e la settima più grande al mondo per volumi di produzione) nel circolo polare artico, a Sabetta, il presidente Vladimir Putin ha annunciato l’imminente varo di una flotta di rompighiaccio atomici in grado di affrontare “qualunque tipo di ghiaccio”, “una competenza – ha detto – su cui dobbiamo capitalizzare”. E ha aggiunto: “La rotta artica potrà essere usata per portare merci da tutto il mondo, da ovest verso est e viceversa: questa rotta verrà usata in prospettiva media e lunga e garantisce il futuro della Russia”. Entro il 2030 la Novatek intende costruire altre tre linee di gas naturale liquefatto. D’altro canto la scorsa estate il premier Dimitri Medvedev ha confermato che lo Stato intende spendere 2,7 miliardi di dollari da qui al 2025 per potenziare le infrastrutture dell’artico. La Rosatom, il colosso russo leader nel settore dell’energia atomica civile, ha messo a punto un progetto di mini reattori nucleari disegnati appositamente per dare energia agli insediamenti artici. Nel 2016 la quantità di beni trasportati attraverso il passaggio di Nord-Est ha battuto il record di 7,5 milioni di tonnellate segnato ai tempi dell’Unione Sovietica e, stando all’Agenzia Federale russa per il Trasporto marittimo e Fluviale, potrebbe crescere di sei volte nei prossimi tre anni, fino a toccare quota 70 milioni di tonnellate nel 2035.

E poi c’è la questione ancora aperta del ricorso (in attesa di risposta) presentato dalla Russia alle Nazioni unite per rivendicare i propri diritti sull’Artico. Attraverso la dorsale sottomarina Lomonosov il Polo Nord è direttamente collegato alla piattaforma continentale russa. Quindi, secondo il Cremlino, sono russi i diritti sulla rotta. Secondo una stima dello US Geological Survey, la linea Lomonosov potrebbe contenere il 13% dei giacimenti petroliferi e almeno il 30% del gas naturale del pianeta.

GLI INVESTIMENTI DI PECHINO – Tra i protagonisti della corsa all’Artico, anche la Cina. Non è un caso che Putin abbia dichiarato che il potenziamento industriale russo in Artico avverrà in cooperazione con la Cina. La scorsa estate Mosca ha invitato Pechino a partecipare a una serie di progetti nella regione artica, compresi quelli per la produzione del gas naturale liquefatto (Lng). Nel 2016, dopo che la società nazionale petrolifera cinese (CNPC) ha acquistato una quota del 20% di Yamal Lng, progetto da 27 miliardi di dollari per la produzione di gas liquefatto, i cinesi ci hanno investito 12 miliardi di dollari. E quest’estate la Cina ha completato la sua prima circumnavigazione dell’Artico. La rompighiaccio Xuelong, salpata il 21 luglio, ha portato a termine il transito per il Passaggio a nord-ovest il 6 settembre. Negli ultimi cinque anni Pechino ha investito quasi 90 miliardi di dollari nell’Artico. Una necessità per la Cina che vede la questione ambientale come priorità e il gas come risorsa fondamentale per poter dire addio al carbone.

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