Ai giovani cronisti raccontava il giornalismo d’altri tempi. Quello di bottega. E che bottega. Nel suo caso le Botteghe erano quelle Oscure del Pci. Con tutta l’agitazione, l’ansia e la pressione che lavorare all’Unità comportava per un giovane pivello. Sapeva di romanticismo il suo racconto delle bombe in Jugoslavia, degli assedi e delle macchine condivise con altri strampalati cronisti, tra alcol, sigarette, ancora sigarette, ancora sigarette, e aneddoti non sempre conformi all’immagine pubblica degli inviati. Sapeva di mito il suo racconto di Cuba, e di quanto potesse essere difficile per un giornalista sfidare l’ortodossia del partito. In noi cresceva l’invidia per un tempo più difficile e in un certo senso più vero, senza schermo perennemente davanti agli occhi.

Ma Nuccio Ciconte non era solo un giornalista di uno stampo che non ne fanno più. Nuccio era il giornale. Questo giornale. Contribuì a fondarlo nel 2009 dopo una vita spesa all’Unità. Ne fu il primo caporedattore insieme a Vitantonio Lopez. Nel gioco delle parti: due poliziotti cattivi. Nella realtà due buoni veri. Con il suo immancabile accento calabrese e la sua maledetta tosse, la presenza di Nuccio era immediatamente percepita. E le volte in cui parlava – non tante in verità – potete starne certi era per imprimere una svolta al discorso. Di certo studiava le persone in profondità, sapeva tutto anche quando non diceva niente. Era Nuccio, insomma: se ti puntava occhi e barba addosso te li sentivi. Poi ogni tanto ti fermava in redazione e il caporedattore si scansava per far posto all’individuo: chiedere lumi su questa o quella diavoleria, dire una sciocchezza, lasciarsi andare a qualche ricordo.

E il viso segnato dalle occhiaie si apriva in un sorriso aperto e contagioso.

Oggi che se ne è andato non ci resta che unirci al dolore della sua famiglia. Il saluto, se è permesso, lo affidiamo alle parole e all’immagine che lui scelse per congedarsi dal Fatto, ormai tre anni fa, e venne insignito dell’ambito “premio amarezza” che la redazione assegnava per farsi burla, ogni tanto, di se stessa.

“Lo accetto, naturalmente. Anche se forse avrei dovuto ricevere il “fortunello”. Perché è stata una fortuna per me lavorare quattro anni e mezzo nel nostro giornale, che ho visto nascere e crescere. Ho ripensato spesso in queste ultime settimane a quella “sporca dozzina” (la definizione è di Freccero), all’entusiasmo di quei giorni del settembre 2009 per una sfida che a molti sembrava impossibile. Da allora a oggi molto è cambiato. La redazione è diventata più grande e giovanissimi cronisti sono ormai fior di professionisti, ma lo spirito e il marchio di fabbrica del giornale sono sempre gli stessi”. 

 

I funerali di Nuccio si svolgeranno sabato 30 dicembre alle ore 15 al Complesso San Cosimato, sala conferenze (chiostro nuovo Regina Margherita), via Roma Libera 76 – Piazza San Cosimato

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